Accordo Afghanistan-UE sui rimpatri
ROMA – Rimpatri forzati in cambio di aiuti economici. Il senso del nuovo accordo tra l’Unione europea e l’Afghanistan sarebbe proprio questo. Da Bruxelles si susseguono le smentite ma in molti hanno sottolineato il nesso tra il Joint way forward on migration issues between Afghanistan and EU firmato il 2 ottobre e la Conferenza internazionale sull’Afghanistan che si è chiusa ieri, con la promessa di nuovi sussidi economici al paese (altri 16 miliardi di euro). C’è chi parla senza mezze misure di un pericoloso precedente: per la prima volta infatti si fa un accordo di riammissione forzata con un paese in una situazione di conflitto. “Dopo di questo non ci sono più limiti”, dice Cristhopher Hein, consigliere strategico del Consiglio italiano rifugiati ed esperto di diritto internazionale.
Cosa dice l’intesa tra Ue e Afganistan. Nello specifico, il documento dice che i cittadini afgani che non hanno base legale per restare in uno stato membro dell’Unione, verranno rimpatriati nel loro paese d’origine: si prediligerà il “ritorno volontario” altrimenti si procederà con i “rimpatri forzati” anche di massa. Nel testo si parla di un numero massimo di 50 rimpatriati a volo, per i primi sei mesi. Non c’è invece un limite al numero dei voli. Le due parti sottolineano inoltre la volontà di esplorare la “possibilità di costituire un apposito terminal aeroportuale a Kabul per questo scopo”. Esclusi dall’intesa, invece, i minori non accompagnati, che non saranno rimpatriati se non verranno prima rintracciati i familiari o se in Afghanistan non ci sono adeguate condizioni di accoglienza. Infine, sono previste misure di sensibilizzazione verso la popolazione “sul pericolo della migrazione irregolare”.
“Non un vero accordo ma un pericoloso precedente”. “Come nel caso della Turchia non si tratta di un vero accordo ma di una dichiarazione congiunta, non sottoposta alla valutazione del Parlamento europeo – sottolinea Hein -. Questa intesa è da vedere congiuntamente con la conferenza sull’Afganistan in cui sono stati messi a disposizione per il paese altri 16 miliardi di aiuti. Chiaramente la contropartita sono le riammissione senza limiti”. Ma secondo l’esperto del Cir, questa volta l’intesa è anche più grave nei contenuti del tanto contestato patto con il governo di Ankara. “In Turchia non c’è una guerra aperta, tranne in alcune zone del Kurdistan. Si può discutere della sua democrazia ma in Afghanistan, come documenta un recente rapporto dell’Easo, ancora nel 2015 ci sono 11mila civili vittime di violenza – aggiunge -. E in un paese come questo l’accordo prevede esplicitamente un rimpatrio forzato. Questo è un pericolosissimo precedente”.
Vengono meno i principi guida nella dottrina dei rimpatri, come il rispetto delle condizioni di sicurezza e di quelle di dignità. A preoccupare è anche il fatto che così si “abbandona la dottrina tradizionale sui rimpatri: essi dovrebbero avvenire in condizioni di sicurezza e dignità – spiega Hein – L’ultimo rapporto Easo di gennaio 2016 analizza la situazione afgana, provincia per provincia, e sottolinea come essa sia ancora molto critica. Inoltre, in un documento di maggio non pubblico, si dice che situazione deteriorata ulteriormente. Come si posso rimandare indietro richiedenti asilo in zone di conflitto armato?”.
“Quelle risorse potrebbero essere spese per i corridoi umanitari”. Tra le prime voci critiche in Italia contro l’accordo, c’è quella di padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli. “Si tratta dell’ennesimo colpo inferto dall’Ue alla dignità della vita umana, aggravato da uno spreco sproporzionato di risorse economiche che potrebbe essere destinato alla creazione di canali umanitari sicuri e ad un’accoglienza programmata e progettuale che impegni tutti gli Stati europei”, sottolinea. Ripamonti spiega che anche al Centro Astalli, che si trova nel cuore di Roma, oggi ci sono molti migranti afgani, prevalentemente uomini, molto giovani di etnia hazara. “Raccontano di violenze e persecuzioni, di mancanza di libertà personale in un Paese in cui il rispetto dei diritti umani è un obiettivo ancora assai lontano – afferma -. È illegale oltre che immorale che l’Ue gestisca in questo modo il flusso dei migranti sul proprio territorio”.
Il secondo gruppo più numeroso di richiedenti asilo in Ue. Dopo i siriani gli afgani insieme agli iracheni sono il gruppo più numeroso per richieste di asilo in Europa. Ma il tasso di riconoscimento delle loro domande di protezione internazionale varia da paese a paese. In Italia si sfiora il 75 per cento di risposte favorevoli ma in altri paesi la percentuale scende vorticosamente, come nel caso della Bulgaria e della Slovacchia (meno del 5 percento). Tra i loro principali paesi di destinazione c’è la Germania, dove vengono accolte circa la metà delle domande (49 %). “Questa intesa interessa innanzitutto la Germania. Voci del governo di Berlino già da tempo dicono chiaramente che le zone dell’Afganistan dove ci sono contingenti militari non possono essere considerate a rischio – conclude Hein –. Bisogna però chiedersi qual è il livello di democrazia in Europa, se accordi come questi, in cui prevalgono gli interessi di alcuni paesi, continuano a non passare per il Parlamento”. (Agenzia Redattore Sociale)