“Al posto sbagliato” mafiosi e assassini
CROTONE – Ci sono anche Giovanni e Francesca Gabriele nella sala consiliare del Comune di Crotone. Protagonisti, loro malgrado, di una delle storie raccontate dal giornalista Bruno Palermo in “Al posto sbagliato. Storie di bambini vittime di mafia. Il loro unico figlio, Domenico, è stato ferito a morte il 25 giugno del 2009. Giocava su un campo di calcetto. Dopo tre mesi di sofferenza, Dodò muore. Ucciso da un killer della Ndrangheta.
Una scia di sangue innocente lunga oltre un secolo, nella quale sono affogate 108 vite. Tanti sono i bambini – quelli di cui si è a conoscenza – uccisi dalla criminalità organizzata in Italia e di cui Palermo scrive. Un orrore per troppo tempo taciuto e che il libro disvela in tutta la sua atrocità, con la precisione di un meticoloso lavoro giornalistico durato oltre un anno e mezzo.
Bruno è un collega appassionato, impegnato in un percorso di legalità con Libera. Non a caso la prefazione del libro, edito da Rubbettino, è affidata a don Luigi Ciotti mentre la postfazione è di Francesca Chiavacci, presidente nazionale dell’Arci.
Niente fronzoli, solo fatti. Crudi, atroci, un pugno allo stomaco. Come un brutto sogno che ci fa sobbalzare nel pieno della notte. “Verrebbe voglia di smettere di leggere subito” ammette Antonio Tata, referente di Libera a Crotone. Ma è proprio la messa a nudo della verità, che spinge il lettore a continuare. Magari lentamente, perché “Al posto sbagliato” non è un libro che si divora. Lo si può lasciare sul comodino, in borsa, sul tavolino in salotto. E di tanto in tanto, leggerlo.
Sfogliare queste 190 pagine significa ridare dignità a quei morti innocenti. E restituire memoria a nomi e volti che la nostra stessa coscienza vorrebbe dimenticare. Perché stare al posto giusto significa anche ricordare. Sempre. Al posto sbagliato lasciamoci solo “assassini e mafiosi”.
Di seguito l’intervista a Bruno Palermo.
Bruno, questo libro sfata definitivamente un falso mito. La mafia li uccide, i bambini.
Lo ha sempre fatto, fin dal 27 dicembre 1896 giorno in cui abbiamo notizia della prima ragazzina uccisa dalla mafia. Aveva 17 anni, era una donna. Dimostrazione che non è vero la mafia non uccide donne e bambini. A partire da quella data e arrivando ai giorni nostri, ho raccolto 108 nomi, storie, volti, vite strappate e distrutte dalle mafie.
Però per tanto tempo si è creduto a questa sorta di codice d’onore delle mafie, perché seconde te?
C’è qualcuno che ha costruito sempre un alone di mistero intorno a queste storie. Inoltre, il crimine per molti aspetti affascina la letteratura. Se noi guardiamo proprio alla letteratura e alla sceneggiatura mafiosa, ci accorgiamo che molte cose sono state romanzate a tal punto da arrivare a descrivere assassini, criminali e delinquenti – perché queste sono le parole giuste – come degli eroi. E la cosa che mi dà più fastidio è sentire ragazzi che conoscono e ripetono a memoria le battute di certi film. Se ne “Il capo dei capi”, una persona come Totò Riina viene descritto quasi come un mecenate, io resto allibito perché stiamo parlando di un criminale che ha alle spalle condanne per diversi ergastoli.
Avrei voluto evitare, ma visto che lo hai nominato… Di recente, quasi in concomitanza con l’uscita del tuo libro, è uscito anche quello scritto dal figlio di Totò Riina. Cosa pensi del suo libro e dell’intervista che ha rilasciato a Bruno Vespa?
Del libro non so cosa pensare perché non l’ho letto e non credo che mai lo leggerò. E non mi si venga a dire: “Se non lo leggi non saprai mai quello che vuole dire” perché a me non importa. Non mi importa quello che ha da dire un pregiudicato, figlio di un pluripregiudicato che per anni ha governato la cupola mafiosa siciliana, che è sceso a patti con pezzi dello Stato, che ha fatto ammazzare anche bambini. Insomma, uno che diceva che i familiari dei pentiti andavano sterminati fino alla settima generazione. Donne e bambini compresi. Riguardo all’intervista, se è vero come sostiene Roberto Saviano – e io mi trovo d’accordo con lui – che il figlio di Riina abbia lanciato dei messaggi in codice, sarebbe un fatto gravissimo, il più grave perché per farlo ha utilizzato la TV di Stato. Si può discutere sul sensazionalismo o sull’opportunità per un giornalista di intervistare un personaggio del genere. Io sono giornalista e non so se l’avrei mai intervistato e comunque, eventualmente, avrei certamente posto domande ben diverse. Qualcosa del tipo: “Che ne sapeva tuo padre di via de Gergofili? Tuo padre è appassionato di arte? Conosce gli Uffizi? Perché ha fatto uccidere il figlio di Di Matteo? E’ tra i mandanti della strage di Capaci?”. Ecco, cose di questo tipo avrei chiesto, se proprio dobbiamo essere giornalisti. Domande non ne sono state poste, è stata fatta solo passarella. Io mi auguro che la Rai prenda provvedimenti ma ci credo poco perché la Rai funziona ed è gestita in un modo tutto particolare a cominciare dal direttore generale e finendo a Bruno Vespa. Del quale mi sento di poter dire che non nutro alcuna stima.
Torniamo al tuo libro. Ci sono i bambini morti e ci sono le famiglie che restano orfane di figli uccisi…
I comportamenti in questi casi sono assolutamente diversi e i più disparati. C’è chi si chiude nel silenzio e non vuole più parlarne. C’è chi, invece, proprio da questo immenso dolore trae forza, soprattutto tra quelli che – e lo dico per amore della verità – hanno incontrato Libera sulla propria strada. Molti genitori hanno cominciato a raccontare le storie dei propri cari andando in giro per le scuole, parlando con i ragazzi, spiegando la loro sofferenza e quello che è capitato ai propri figli. A volt capita che parlino anche dei killer, spesso giovani, della stessa età delle loro stesse vittime. Il messaggio di speranza contenuto nel libro arriva proprio da loro, dai familiari di questi bambini.
Tu sei molto amico di Giovanni Gabriele e sei sempre stato vicino a lui e a sua moglie Francesca dopo l’omicidio del piccolo Dodò. E’ questa esperienza che è nata l’idea del libro?
Sì, credo questo incontro mi abbia davvero cambiato la vita e ha ispirato questo libro, a partire dal titolo che ho scelto per il libro. “Al posto sbagliato” è un titolo provocatorio, il ribaltamento di una consuetudine per cui un bambino morto ammazzato si trova sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. E’ un insegnamento che mi ha trasmesso proprio Giovanni, il quale una volta stanco di sentirsi dire sempre che suo figlio era morto perché – appunto – si trovava al momento sbagliato nel posto sbagliato, sbottò dicendo: “Mio figlio era su un campo di calcetto, ditemi se è un posto sbagliato per un bambino di 11 anni”. Così come non sono posti sbagliati una pizzeria, la piazzetta sotto casa, il portone di casa, la macchina dei propri genitori e tutti gli altri luoghi dove sono avvenute queste tragedie. Gli assassini, i criminali, i mafiosi sono loro che sono sempre al posto sbagliato. (come scritto anche, a scanso di equivoci, sulla quarta di copertina del libro, ndr)
Francesca Caiazzo