Alberghi, ristoranti, casolari: la “malaccoglienza” dei migranti che costa un miliardo
ROMA – Li chiamano centri “straordinari” (Cas) ma nei fatti sono le strutture con cui si gestisce in maniera ordinaria l’accoglienza dei migranti in Italia. Hotel, ristoranti, vecchi casolari, tutti riconvertiti in strutture dove ospitare profughi e i richiedenti asilo che arrivano sul territorio italiano. Ad oggi, secondo i dati del ministero i Cas sono 3.090 ed ospitano circa 71 mila persona ( il 72 per cento delle presenze complessive che ammontano a 98.632). Per la loro gestione lo Stato spende circa un miliardo di euro (918,5 milioni tra Cas e Cara) mentre 242,5 milioni di euro sono destinati ai centri Sprar del ministero dell’Interno: per una spesa totale dell’accoglienza di 1.162 milioni di euro (lo 0,4 per cento della spesa pubblica nazionale). Per lo più si tratta di “strutture improvvisate”, dove lo staff è spesso impreparato a gestire il complesso fenomeno migratorio: con “operatori che non conoscono l’inglese e sono sprovvisti di formazione in materia di protezione internazionale”, con all’interno un unico mediatore culturale. A mancare è anche“un’assistenza adeguata e percorsi di inclusione” mentre sono frequenti i casi in cui gli ospiti finiscono nei circuiti del caporalato, del lavoro nero, dello spaccio e della prostituzione. A denunciare la “mal accoglienza” tutta italiana dei migranti è la campagna LasciateCie entrare in due rapporti presentati oggi a Roma nella sede della Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana): il primo fornisce un monitoraggio di tutte le tipologie di strutture presenti sul territorio. Mentre il secondo, realizzato in collaborazione con Libera e Cittadinanzattiva, nell’ambito della campagna “InCAStrati”, fotografa la situazione di 50 centri per l’accoglienza straordinaria di Campania, Calabria e Sicilia.
“Il nostro obiettivo è la trasparenza nella gestione dell’accoglienza – spiega Laura Liberto, di Cittadinanzattiva – Quella dei Cas è diventata una modalità ordinaria di gestione dell’accoglienza. Ma essa non è frutto di una contingenza straordinaria ma di una scelta di comodo. Si continua, cioè, a scegliere di governare l’accoglienza con le soluzioni tampone, in assenza di una strategia nazionale. Da questo scaturisce un sistema ibrido in cui questi centri sono la regola. Un sistema pieno di opacità e difficile da controllare, pieno di speculazioni di privati che si improvvisano gestori mentre l’ultima delle preoccupazioni riguarda i servizi erogati”. Liberto ricorda che si parla di Cas anche nell’ultimo rapporto sull’accoglienza del ministero, “ma l’unica analisi e considerazione che si fa nel rapporto e che questo comporta difficoltà operative. Manca, invece, un elenco pubblico di queste strutture, non si sa dove sono ubicate né chi le gestisce”.
E così una mappatura dal basso hanno provata a farla le associazione riscontrando diverse anomalie. Per esempio in alcune delle strutture visitate a curare gli ospiti ci pensano gli stessi gestori: “si somministra paracetamolo per le più varie patologie”, si legge nel rapporto. Non solo, ma a mancare è anche l’assistenza psicologica: sempre più frequenti sono i casi di depressione, di disturbi psicologici fino ai tentati suicidi. Ma a preoccupare sono anche le zone dove sorgono alcuni dei centri: nella zona da Licola a Casal di Principe, per esempio, sono concentrati un numero elevatissimo di migranti, nel solo giuglianese sono presenti oltre 1000 migranti in circa 7 strutture, “che non svolgono nessun tipo di attività”, denuncia la campagna InCastrati. Ma il paradosso più grande riguarda alcuni gestori che continuano ad operare pur essendo stati denunciati in passato proprio per abusi nella gestione.
Il rapporto ricorda alcuni casi in Campania, dove diverse associazioni presentarono un esposto alla procura della Repubblica per trattamenti inumani e degradanti all’interno di alcune strutture . “Il problema più grande è che nell’assegnazione dei bandi fa curriculum aver gestito strutture durante la fallimentare e discussa emergenza nord Africa – aggiunge Yasmine Accardo, referente territoriale di LasciateCientrare – E così in Campania abbiamo per esempio gestori come la Family che forniscono un livello bassissimo di accoglienza, in luoghi assurdi. Alcuni casi eclatanti e gravi li abbiamo segnalati anche alla commissione d’inchiesta parlamentare sulle strutture di accoglienza, che ha chiuso due centri, ma per il resto non sappiamo neanche cosa stia facendo. E’ vergognoso perché nel frattempo i migranti restano nei centri per anni sfruttati dal caporalato, e le donne finiscono per strada, dove vengono avviate alla prostituzione”.
Oltre ai Cas sono stati visitati 7 Cara, 5 Cie, 6 centri informali, 4 Sprar, in Campania, Calabria, Sicilia, Puglia, Piemonte, Lazio, Lombardia, Sardegna e Friuli Venezia Giulia. “Nelle nostre visite abbiamo visto abusi e incontrato migranti distrutti – sottolinea Gabriella Guido, portavoce di LasciateCientrare -Il sistema dei centri è al collasso, non lo diciamo solo noi. Ma su questo non è facile raccogliere né l’attenzione dei media né dei politici”. Per questo la campagna ha diffuso un documento in cui si chiede la chiusura dei Cie “irriformabili, inutili, lesivi di ogni dignità umana” e dei Cara “strumenti micidiali di mal accoglienza”. Inoltre si sottolinea che, nonostante gli Sprar, siano stati per anni il “fiore all’occhiello della politica italiana sull’accoglienza” oggi anch’essi presentano “carenze gravi”. Infine per quanto riguarda i minori, ricordano che “l’assenza di strutture adeguate alla loro accoglienza fa si che una parte di loro si sottragga, alle strutture di ricovero rischiando di finire nei mercati di sfruttamento, compreso quello sessuale e dell’economia illegale. Sono la punta dell’iceberg, la cartina di tornasole, che mostra il fallimento strutturale delle politiche di accoglienza in Italia”. (Agenzia Redattore Sociale)