Appello delle associazioni al vertice Onu: non ignori 800 mln di affamati
“L’agenda del Summit è stata influenzata dal ruolo delle multinazionali. C’è uno sguardo ancora troppo occidentale e si resta legati a quelli che sono gli interessi delle industrie, non mettendo al centro le persone”. Così dichiara all’agenzia DiRE Simone Garroni, direttore generale di ‘Azione contro la fame’ (Acf), un’associazione umanitaria che lavora in 40 paesi del mondo, è critico con il metodo di lavoro e con l’agenda del ‘Food Systems Summit’.
Annunciato a dicembre del 2019 dal segretario generale Onu, Antonio Guterres, il vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari si terrà domani a New York e coinvolgerà I rappresentanti dei governi, delle industrie e delle associazioni.
In questi 18 mesi di preparazione si sono levate molte voci contrarie. Il Movimento della società civile e delle popolazioni indigene (Csm), a marzo dello scorso anno inviò una lettera a Guterres, firmata da più di 400 associazioni, nella quale si criticava il coinvolgimento del World economic forum e il ruolo di inviata speciale dell’Onu al Summit assegnato alla scienziata ruandese Agnes Kalibata, in conflitto di interessi secondo il Csm perché presidente dell’Alleanza di imprese per la rivoluzione verde in Africa (Agra).
Secondo ‘The State of Food Security and Nutrition in The World’, il rapporto pubblicato nel 2021 dalle Nazioni Unite – in collaborazione con la Fao, l’Oms, l’Unicef, il Pam e l’Ifad – nel 2020 le persone sottoalimentate nel mondo rappresentano il 9.9% della popolazione (811 milioni), un aumento dell’1,5% rispetto al 2019. Più di 2,3 miliardi di persone, spiega il rapporto, non hanno avuto accesso in maniera continuativa durante l’anno a risorse alimentari adeguate. Un indicatore che è cresciuto in un solo anno quanto nei cinque precedenti.
Inoltre, sebbene non siano ancora stati pubblicati studi sugli effetti della pandemia di Covid-19 sulla sicurezza alimentare, le associazioni sono convinte che sia tra le cause principali dell’aumento dei valori degli indicatori. “Le comunità più vulnerabili sono quelle rimaste più esposte al contagio”, sottolinea Garroni, “si pensi alle persone che hanno bisogno di guadagnarsi letteralmente il pane ogni giorno. Sono dovute uscire nonostante le restrizioni e cercare un modo per sopravvivere”.
Da dove bisognerebbe partire? Il dirigente di ‘Azione contro la fame’ suggerisce un approccio “olistico” che parta dal “coinvolgimento dei piccoli allevatori e agricoltori, dal ruolo delle donne, dall’attenzione alle zone di conflitto e dagli investimenti sull’agroecologia”.
“Non possiamo considerare la fame come qualcosa di slegato dal resto”, ha concluso Garroni, “l’accesso al cibo e i diritti delle persone dipendono dalle crisi climatiche così come dale situazioni di conflitto. La maggior parte di coloro che soffrono la fame vive in Paesi fragili”. (Agenzia DIRE)