Assistente sessuale, a Bologna il primo corso
BOLOGNA – Diciassette persone, uomini e donne, di diversi orientamenti sessuali, con un’età compresa tra i 25 e i 47 anni, provenienti da quasi tutta Italia: sono loro – fotografi, laureati, impiegati – i primi partecipanti al corso – primo e unico, al momento, nel nostro Paese – per diventare assistenti sessuali. Promosso dal Comitato per la promozione dell’assistenza sessuale in Italia (Love Giver) di Maximiliano Ulivieri, da anni in prima linea su più fronti per la difesa dei diritti delle persone con disabilità, il corso parte oggi giovedì 31 agosto nel capoluogo emiliano: obiettivo, formare Oeas, vale a dire operatori all’emotività, all’affettività e alla sessualità delle persone con disabilità.
“È dal 2014 che stiamo lavorando per fare partire questo progetto – spiega Ulivieri –. Abbiamo rallentato la nostra corsa per dare un po’ di tempo al mondo politico e istituzionale, con la fiducia che qualcosa potesse muoversi. Ogni volta che qualcuno ci apriva uno spiraglio, sceglievamo di attendere. Fino a quando non ce l’ho fatta più”.
I 17 partecipanti sono stati selezionati dopo una serie di colloqui e incontri con Fabrizio Quattrini, psicologo, psicoterapeuta, sessuologo e presidente dell’Istituto italiano di sessuologia scientifica (Iiss) di Roma. Quattrini e Ulivieri saranno solo due dei docenti del corso: con loro, Maurizio Nada, docente e scrittore; Rocco Salvatore Calabrò, medico; Lorenzo Simonetti, avvocato e Judith Aregger, assistente sessuale e formatrice che proprio a Redattore sociale aveva raccontato la sua storia.
Si tratta di un corso intensivo della durata di 4 giorni: 31 agosto/1 settembre e 30 settembre/1 ottobre, sempre dalle 10 alle 19. Un mix di lezioni teoriche – il medico, per esempio, spiegherà le disfunzionalità sessuali a seconda della malattia – e altre più esperienziali, come quelle volte alla conoscenza del proprio corpo (a partire dal respiro). Alla fine dei 4 appuntamenti è previsto un tirocinio di circa 50 ore, in modo che i partecipanti siano subito operativi. “Non escludiamo, l’anno prossimo, di proporre percorsi di specializzazione a chi desiderasse concentrarsi su alcuni campi o disabilità”.
Che possibilità lavorative avranno questi operatori una volta concluso il corso? “Dal 2013, anno in cui ho fondato l’associazione il Comitato, ho ricevuto 2.137 richieste per avere un assistente sessuale. In primis, individueremo le situazioni più urgenti e invieremo le persone più idonee. Sappiamo di correre dei rischi, ci muoviamo in assenza di un inquadramento legislativo. Quello che potrebbe succedere è che qualcuno ci accusi di favoreggiamento alla prostituzione. Accusa che sarebbe tutta da dimostrare. Chiaramente spero non succeda nulla, ma se così fosse difenderemo i nostri diritti in tribunale, visto che il Parlamento preferisce non occuparsene”.
Difficoltà oggettive che, naturalmente, ricadono anche sulle possibilità di svolgere un tirocinio: “L’ideale sarebbe individuare una struttura adeguata per questo genere di attività, ma non è una strada al momento percorribile. Per ora, dunque, il tirocinio si svolgerà direttamente presso le persone che hanno fatto richiesta di questa figura o presso associazioni che ci hanno dato la disponibilità”. Ulivieri, insieme con il senatore Sergio Lo Giudice, nel 2014 ha depositato in Senato una proposta di legge per il riconoscimento della figura dell’assistente sessuale, proposta a oggi mai discussa e nemmeno calendarizzata. Sul tema, in Lombardia, la consigliera Paola Macchi ha avanzato una proposta di legge regionale, “proposta molto legata all’aspetto sanitario, anche perché non ci sono alternative. Ma al momento tutto tace”.
Perché? Secondo Ulivieri la responsabilità è anche delle persone che, dopo avere chiesto aiuto a Love Giver, non scendono in campo per combattere apertamente: “Non posso attribuire tutta la colpa alla politica: non sente il bisogno di occuparsi di questi tempi perché nessuno li solleva. Servirebbe fare come con le barriere architettoniche: più si alza voce, più si fanno passi avanti. Se quelle 2.137 persone, oltre che a me, avessero raccontato la loro storia – straziante, spesso drammatica – anche al ministero della Sanità o ai presidenti di Regione, forse qualcosa si sarebbe mosso. Bisogna avere il coraggio di rischiare, come stanno facendo i nostri selezionati, che si sono imbarcati in questa avventura a loro spese, senza sapere esattamente cosa potrebbe succedere. C’è chi ha discusso con i capi e la famiglia per arrivare sino a qui, c’è chi ha ricevuto tutto l’appoggio necessario. Tutti, però, hanno scelto di combattere per qualcosa in cui credono. È questo che chiedo alle grandi associazioni di persone con disabilità, e anche ai politici più sensibili su questi temi”. (Ambra Notari per Agenzia Redattore Sociale)