Attentati a Bruxelles, “Belgio crocevia della jihad globale”

metro bruxelles

PARIGI – “L’ideazione degli attentati di Parigi, le armi dei fratelli Kouachi nell’attentato a Charlie Hebdo, il fallito attentato sul treno Parigi-Amsterdam, l’attentato al Museo Ebraico di Bruxelles, le armi di Mohamed Merah, tutto porta in un modo o nell’altro al Belgio”. A parlare con l’Agenzia Redattore Sociale è Marco Cesario, giornalista e scrittore da anni residente a Parigi: “Come hanno evidenziato diversi analisti, dall’11 settembre – pensiamo anche all’attentatore del generale Massoud in Afghanistan che aveva passaporto belga – a oggi il Belgio resta il crocevia fondamentale della jihad globale. Con la perdita progressiva di territori in Siria dopo i bombardamenti russi, americani e l’offensiva curda, la jihad globale si concentra ora sulla Libia e il Belgio è diventato il quartier generale dove far partire le sue azioni di guerriglia su tutta l’Europa”.

L’Isis ha rivendicato gli attentati di oggi. Ti aspettavi questi nuovi attacchi?
Purtroppo sì. I servizi segreti interni del Belgio avevano già avvertito che si preparava un attacco massiccio in città in grande stile, come quello accaduto a Parigi a novembre scorso. Gli stessi eventi delle ultime settimane hanno fatto capire che gli arresti a Molenbeek, a Forest e lo stesso arresto di Salah s’inscrivevano in un più generale smantellamento di una vasta rete capace di organizzare un attentato di queste dimensioni. Ma non era che l’inizio: forse proprio l’arresto di Salah ha fatto comprendere l’ampiezza delle filiere jihadiste in Belgio. La cellula di Mohamed Belkhaïd, per esempio, è stata smantellata (Belkhaïd è stato ucciso il 15 marzo durante il blitz della polizia a Bruxelles, ndr), ma ce ne sono altre, la rete è vasta. Si cercano ancora altri complici del commando del Bataclan e abbiamo visto che il quartier generale, l’organizzazione tutta degli attentati di Parigi era localizzata in Belgio. È una ragnatela dai contorni ancora foschi.

Secondo te gli attentati di oggi sono legati all’arresto di Salah? Se sì, in che maniera?
L’attentato era ovviamente già stato preparato da tempo ed è troppo facile considerarlo semplicemente una ‘vendetta’ per l’arresto di Salah, anche se cade proprio dopo il suo arresto. Piuttosto l’arresto di Salah ha sviato l’attenzione, facendo mollare la presa e creando un’euforia laddove era forse necessaria più cautela, così come quella che si è avuta all’indomani degli attentati di Parigi. L’azione dei servizi segreti belgi purtroppo si è dimostrata fallimentare. In fondo lo stesso arresto di Salah resta un’anomalia, perché l’uomo avrebbe dovuto farsi saltare in aria il 13 novembre scorso. Se non l’ha fatto ed è rimasto nascosto un motivo ci sarà. Conoscendo la logica jihadista – farsi esplodere con le armi in pugno, aspirare al martirio come i fratelli Kouachi – c’era poco da stare euforici per la cattura di Abdeslam.

Aeroporti e metropolitana a Bruxelles. Discoteche e bar a Parigi. I luoghi degli attentati sono luoghi simbolo della civiltà occidentale. È un caso?
Non credo sia solo questo il punto. I luoghi citati sono in realtà luoghi sempre più difficili, alcuni impossibili, da proteggere. O meglio: possono essere protetti ma a un prezzo altissimo: quello della militarizzazione di una società, cosa che purtroppo sta piano piano accadendo. A Parigi i manifesti per arruolarsi nell’esercito sono ovunque: oggi il ministro dell’Interno ha detto che altri 1.600 agenti saranno dispiegati in città per prevenire possibili attentati. Come ha detto il filosofo francese Frédéric Gros la logica terroristica ha fatto saltare in aria le rappresentazioni tradizionali dei conflitti. Se gli attentati giustificano eccezionali misure di sicurezza – quello che è accaduto in Francia con lo stato d’emergenza e quello che accade ora in Belgio oggi – significa che siamo entrati oramai nella logica della ‘guerra diffusa’ e delle società militarizzate. E poi c’è un altro punto importante.

Quale?
Il terrorismo spinge la società verso la fine delle libertà civili. Esiste dunque la dimensione simbolica di colpire ‘lo stile di vita occidentale’, ma questa è una lettura solo di superficie. Sappiamo tutti che lo stile di vita di molti jihadisti ha molto poco a che fare con i dettami dell’Islam radicale e invece s’inscrive, come ha detto Olivier Roy, orientalista e politologo francese, proprio nelle contraddizioni dell’Occidente, del suo “esportare democrazia con il suono delle bombe”, del suo bombardare la Siria, l’Iraq, la Libia e i civili inermi e nell’abbandono delle periferie, nel problema ghetti e banlieue dove il radicalismo è l’unica ideologia di riferimento. La logica ‘globalizzata’ di questo terrorismo è la risposta alla globalizzazione su scala mondiale del conflitto e non è un caso che si sia voluta colpire la capitale dell’Europa.

Schengen sembra essere messo sempre più a rischio. Cosa dobbiamo aspettarci?Dobbiamo aspettarci sempre più chiusura, soprattutto localismi, nazionalismi e razzismi rampanti che dirigeranno le politiche europee. Dobbiamo aspettarci maggiore chiusura, controlli e muri di filo spinato. (Agenzia Redattore Sociale)