Bambini disabili in attesa di adozione: “tante famiglie pronte ad accogliere”
ROMA – Sono tanti i bambini con disabilità che avrebbero bisogno di una famiglia.Nell’attesa, vivono in strutture sanitarie, in cui rischiano di passare tutta la vita: gli ultimi dati del Dipartimento per la Giustizia Minorile parlano di almeno 300 minori disabili in attesa di adozione. Ci sono anche tante famiglie disposte ad accoglierli. Ma non ci riescono, in molti casi, perché mancano la comunicazione, il contatto, una modalità d’incontro tra chi chiede aiuto e chi vorrebbe offrirlo. Ce lo racconta l’esperienza della onlus “Dalla parte dei bambini” nata, un paio d’anni fa, proprio per creare questo contatto, da un lato andando a cercare le famiglie disponibili, dall’altro andando letteralmente a scovare i bambini disabili che aspettano di essere accolti.
Una volta creato “l’abbinamento”, la procedura è, almeno in teoria, “d’urgenza”: tempi più brevi e requisiti più “leggeri” rispetto alle adozioni “normali”. Nel caso di queste “speciali” possono adottare anche i single. E non c’è il vincolo dell’età. Eppure sono ancora tanti i bambini “con bisogni speciali” (per lo più disabili, ma non solo) che attendono una famiglia, di cui avrebbero particolarmente bisogno. Ne è convinta Emilia Russo, mamma e volontaria a tempo pieno di “Dalla parte dei bambini”.
“Dobbiamo superare l ‘idea che non ci siano famiglie disponibili ad affrontare l’impresa, per quanto difficile, di accogliere un bambino con bisogni speciali. Di queste famiglie ce ne sono tante e noi ci siamo date il compito di andare a trovarle”. C’è una costola dell’associazione, che si chiama “Affidiamoci”, che si occupa in particolare di single, per fare in modo che anche questi abbiano la possibilità – riconosciuta loro dalla legge – di accogliere questi bambini. E poi c’è la onlus, con la sua sede centrale a Udine e le varie sedi distaccate, che opera attraverso diversi progetti.
“C’è ‘Aiutiamoci‘ – ci racconta Emilia Russo – che attiva un sostegno tra famiglie nel momento in cui una di queste sia in temporanea difficoltà. E poi c’è ‘Prontamente‘, una sorta di servizio di pronta accoglienza, tramite un gruppo di famiglie ‘pronte’, appunto, ad accogliere immediatamente il minore che abbia una situazione di urgenza”. E c’è, sopratutto, il gran lavoro di costruzione di rete e contatti: “In particolare con i tribunali e i servizi sociali, con cui dobbiamo muoverci sempre in punta di piedi, per conquistare la loro fiducia. Una volta che ci conoscono e che accettano l’aiuto che possiamo offrire, ci segnalano i casi dei bambini e noi iniziamo la ricerca”. Ricerca che si svolge innanzitutto “tra le famiglie che già ci hanno manifestato la loro disponibilità: sono tante quelle che ci contattano, per manifestare il loro desiderio di accogliere un bambino ‘speciale’. Sono consapevoli delle difficoltà e pronte ad affrontarle. E noi facciamo di tutto per conoscerle una per una, comprendere insieme a loro cosa e quanto possano offrire e valutare, di volta in volta, se siano adatte al caso che ci viene segnalato”.
Qualora non si trovi subito, tramite questa rete di conoscenza, le famiglia giusta per il bambino, allora viene pubblicato un “appello”: è questo lo strumento fondamentale di cui la onlus si serve per “scovare” la famiglia giusta. “Abbiamo delle linee guida per la scrittura di questi appelli, che devono dire il necessario, ma nulla di più, nel rispetto della privacy del minore. Pubblichiamo e diffondiamo questi appelli su internet e sui social: le famiglie ci contattano per avere più informazioni e farsi conoscere. Quando ne troviamo una che ci sembra adatta, scriviamo una presentazione per il tribunale o i servizi sociali, che valuteranno il caso e procederanno eventualmente all’affidamento. La cosa bella è che, in questa fase, le famiglie di solito si preoccupano: ‘andremo bene? ci daranno l’idoneità?’. come se questa fatica, che si apprestano a compiere, dovessero conquistarsela!”. Il compito dell’associazione, in teoria, finisce qui, quando la “palla” passa a giudici e assistenti sociali. In realtà, però, “le famiglie restano nella rete, ricevono supporto e a loro volta ne danno all’associazione”, moltiplicando così le energie a disposizione della onlus. “FInora tutte le storie che abbiamo costruito sono a lieto fine: non ci sono state ‘restituzioni'”. Un termine brutto, ma un rischio reale, perché di fronte alla duplice sfida di adozione e disabilità, qualcuno potrebbe soccombere.
Tutto questo complicato lavoro è portato avanti da Emilia e dalle sue amiche – “non posso chiamarle colleghe”, ci dice – a titolo volontario, ma praticamente a tempo pieno. “I miei figli mi dicono che ho il telefono incorporato – ci racconta – perché in effetti la maggior parte del lavoro consiste in telefonate con le famiglie e con i servizi. Ero un avvocato, prima del terzo figlio. Poi, con mio marito, abbiamo deciso di rinunciare a tante cose materiali, per poterci dedicare a questo compito, in cui crediamo molto: accogliere bambini con particolari bisogni”. Oggi Emilia di figli ne ha tre: due biologici e uno adottato. “Aveva 11 anni, nella sua relazione era descritto come ‘autistico e idrocefalo’. Ma aveva semplicemente vissuto sempre in istituto, con 9 educatori che gli ruotavano accanto ogni giorno. Oggi Filippo ha 9 anni – ci racconta ancora Emilia -, continua ad avere qualche difficoltà nella gestione delle emozioni e degli stati di rabbia, ma non ha neanche bisogno del sostegno a scuola. Filippo è la prova che i cosiddetti bisogni speciali a volte derivano dall’istituzionalizzazione – conclude – E questo ci motiva ancora di più a continuare a impegnarci, per trovare una famiglia ad ogni bambino”.