Bruxelles, Farid Adly: “Arabi e musulmani d’Europa non restino a guardare”
BOLOGNA – “Gli assassini di Daesh hanno colpito nel cuore dell’Europa. Fermiamoli”. A poche ore dagli attentati all’aeroporto di Bruxelles e in una stazione della metropolitana cittadina in cui sono morte 34 persone e ne sono state ferite più di 200 (rivendicato dall’Isis), Farid Adly, scrittore e giornalista libico che vive da anni in Italia e fa parte della redazione di Radio Popolare, ha pubblicato questo post sulla sua pagina Facebook. I commenti non sono mancati di persone che gli chiedevano: “Come li fermiamo?”. E lui ha risposto. “La politica deve prendere il sopravvento e non la guerra. In secondo luogo, noi arabi e musulmani non possiamo rimanere a guardare”. Non è certo la prima volta che Adly fa questo appello, ce n’è uno che risale al 2003 dopo l’attentato di Nassirya e ripubblicato in queste ore e anche allora ripeteva la necessità di “una mobilitazione generale delle comunità arabe e musulmane per dire “non nel mio nome”.
Dopo Parigi, il Califfato ha colpito di nuovo nel cuore dell’Europa. Qual è la tua lettura di quanto accaduto?
Considero quello di ieri a Bruxelles un atto terroristico, un atto criminale compiuto da assassini che hanno ucciso persone innocenti. Io sono un pacifista e condanno questi atti. Sono cosciente che la situazione a cui siamo arrivati è di guerra ma sono convinto che la risposta deve essere politica e non una contrapposizione di civiltà.
Su Facebook hai sollecitato arabi e musulmani che vivono in Europa a “non restare a guardare” e la politica a rispondere.
La comunità araba e musulmana in Europa deve sostenere la lotta generale al terrorismo non per farsi benvolere, ma per affermare il concetto che queste persone sono estremisti che non rappresentano l’Islam, anzi sono odiati dai musulmani e sono un danno non solo per l’Occidente ma per tutti i musulmani. Il nostro primo compito come cittadini arabi e musulmani che vivono in Occidente è quello di assumersi la responsabilità di dire che queste persone non ci rappresentano e che, anche se si nascondono dietro l’Islam, non sono musulmani. Inoltre, è necessario richiamare la politica a escludere dal suo linguaggio l’odio verso le altre culture. Ci sono stati diversi pronunciamenti in questo senso da politici italiani ed europei e ne sono soddisfatto.
Come siamo arrivati a questa situazione?
Qualcuno ha detto che è stata la guerra in Iraq la scintilla che ha scatenato tutto questo. Questa analisi può essere vera dal punto di vista storico, ma non può spiegare da sola lo sviluppo di questi movimenti. Questi movimenti hanno trovato la loro linfa nella mancanza di democrazia dei Paesi arabi e nella mancanza di una risposta chiara dalla teologia islamica, è mancato un rinnovamento nel pensiero teologico che rispondesse a questi fondamentalisti.
Secondo te come mai questi figli di immigrati decidono di colpire la società in cui sono cresciuti?
Non conosco la storia di queste persone, se non quello che ne è stato detto a posteriori, quindi non parto da considerazioni singole. Il contesto sociale in cui sono cresciuti però è di emarginazione sociale. In più molti di quelli che sono caduti nella rete dei fondamentalisti jihadisti hanno un passato di microcriminalità e spaccio di droga. Quindi non è il sentimento religioso o la fede che li ha armati ma la loro disperazione, l’emarginazione, la frustrazione che, nel mondo arabo, vivono di fronte ai continui cambiamenti. Una frustrazione patriottica ma anche culturale e sociale. Questi giovani non trovano spazio e identità e la cercano in quello che vedono come contrario all’Occidente che, secondo loro, non gli dato accoglienza. In realtà l’Occidente ha dato molto di più ai migranti di quanto non abbiamo fatto i loro Paesi di origine. Ricordo nei Paesi arabi la disoccupazione è altissima e che gli arabi sono poveri, anche dove si produce petrolio. E questi sono i risultati fallimentari delle elite politiche arabe, che le Primavere arabe purtroppo non sono riuscite a cambiare. (Agenzia Redattore Sociale)