Bruxelles, “l’Italia per i jihadisti è un hub dove arrivare e partire, trovando documenti falsi”
BOLOGNA – “La prima conseguenza agli attacchi di Bruxelles deve essere un lavoro congiunto dell’intelligence europea, cosa mai avvenuta prima”: Laura Silvia Battaglia, giornalista freelance che vive tra Milano e Sanaa, in Yemen, corrispondente per l’agenzia libanese Transterra Media, parte da qui per commentare gli attentati rivendicati dall’Isis che ieri hanno colpito Bruxelles, causando 31 vittime e centinaia di feriti. “Tra gli effetti riscontreremo un’ulteriore radicalizzazione di certi partiti in Europa. Quelli di destra, per esempio, non esiteranno un attimo ad additare ogni immigrato come responsabile di quella tragedia. E poi ci sarà chi, per paura, limiterà le proprie libertà individuali, mentre Schengen sarà rimesso in discussione”. L’intervista all’Agenzia Redattore Sociale.
Dei tre presunti attentatori della strage all’aeroporto di Zaventem, due sarebbero morti nel’esplosione e uno sarebbe ricercato. In molti oggi si chiedono come sia stato possibile che, in un’Europa blindata come quella degli ultimi tempi, in una città in cui anche i responsabili delle stragi parigine avevano trovato rifugio, possa essere successa una cosa simile.
Indagini, ricerche, blitz: nomi e storie di jihadisti sono emersi in questi ultimi mesi. Ma la mente quasi mai coincide con il braccio: così, spesso chi agisce non ha identità riconosciute. La rete è radicata e articolata. Fondamentale, poi, è tracciare tutti i movimenti di armi: da dove vengono e dove vanno, quando e come sono vendute. Devo dire che su questo l’Italia in Europa è il Paese più sicuro. Il contrasto al terrorismo negli anni di piombo, la lotta alla mafia hanno reso il nostro Stato particolarmente abile ed efficiente nel controllo di armi ed esplosivi, grazie anche alla nascita di unità specifiche per il contrasto a questi fenomeni. Altre nazioni che non hanno avuto il nostro passato hanno linee più morbide. Di certo, la rotta turca e quella dei Balcani delle armi dovrebbero essere seguite con particolare attenzione.
Attentati in Spagna, Inghilterra, Francia, Belgio, per restare in Europa. Come sono scelti gli obiettivi?
A oggi ci sono Paesi che rischiano più di altri: la Francia, con le bombe su Siria e Libia e i suoi processi d’integrazione talvolta messi in discussione. Il Belgio, capitale europea, dove la politica è chiamata ad affrontare la questione migranti. E a essere colpiti sono sempre i non luoghi sociologici, gli aeroporti, le stazioni, dove con una spesa ridotta riesci a ottenere i risultati maggiori: bastano 15-20 mila euro per comprare una buona quantità di kalashnikov e una cintura esplosiva, e causare una strage. Minima spesa, massima resa: è così che gli obiettivi sono selezionati.
L’Italia è a rischio?
Se i terroristi decidessero di attaccare l’Italia sicuramente sceglierebbero i simboli religiosi di Roma. Detto ciò, l’Italia per i jihadisti è un hub dove arrivare e muoversi, ottenere documenti falsi e ripartire. I falsificatori non mancano, e a loro fanno comodo: potrebbero anche volersi ingraziare il nostro Paese. Detto ciò, non si esclude la minaccia.
Gli attentati di Bruxelles sono in qualche modo legati alla cattura di Salah Abdeslam, responsabile delle stragi del 13 novembre?
Non credo che ci sia una relazione così stretta. Siamo nella cosiddetta ‘guerra diffusa’, dove il nemico non ha volto, la violenza può compiersi ovunque e colpire chiunque, in modo imprevedibile e discontinuo. Quella di ieri non è stato che un passaggio, pianificato da tempo. Poi, certo, disporre del primo pentito della storia del terrorismo di matrice islamica è un passaggio importante. L’attendibilità andrà verificata, potrebbe iniziare trascinando nel fango suoi personali nemici: ma è così che si comincia, è così che è cominciata anche la lotta alla mafia. I terroristi con la strage di ieri potrebbero anche voler mandare un messaggio alle autorità, far sapere loro che sono ancora molto forti, che la cattura di Salah non li ha messi in difficoltà. Hanno risposto con una violenza sconsiderata a chi si stesse domandando se per caso Daesh non si stesse indebolendo: gli occidentali oggi ancora più paura, mentre i terroristi hanno guadagnato nuovo animo. Si tratta di una doppia strategia, condotta sui territori mediorientali e spargendo terrore nel mondo, Africa inclusa. Perché l’ennesimo attentato in Mali risale solo a pochi giorni fa.
A che punto siamo di questa ‘guerra diffusa’?
Non mi sento di dire né che siamo all’inizio, né che siamo alla fine. Tutto è cominciato nel 2001, e da noi è arrivato con un certo ritardo. Nella guerra siriana non si è voluto intervenire in tempo, e questo è il risultato. Ora ci sono terroristi che dicono di volere vendicare tutti i morti del Medio Oriente. Se così fosse, ne avrebbero ancora molti”. (Agenzia Redattore Sociale)