Cannabis per curare effetti a lungo termine del Covid: lo studio in Brasile
Una ricerca per testare su 1000 pazienti l’utilizzo di uno dei principi attivi della cannabis, il cannabidiolo, o Cbd, nel trattamento del Long Covid, verrà realizzato dall’Instituto do Coracao (Incor), in Brasile. Lo studio, il primo di questo tipo al mondo, potrà contare sull’appoggio di altri ospedali e istituti di ricerca del Paese sudamericano, sia pubblici che privati. Il Covid-19 è considerato dagli esperti una patologia sistemica: questo significa che può colpire diversi organi del corpo e non solo i polmoni come si credeva inizialmente.
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Long Covid è invece il termine utilizzato per definire un insieme di disturbi e complicazioni che alcune persone hanno manifestato dopo aver contratto la malattia e dopo essere formalmente guariti. In genere le persone interessate da questo fenomeno hanno un decorso della patologia breve con dei sintomi abbastanza intensi. Dopo il miglioramento del quadro clinico i pazienti presentano però delle complicazioni e degli strascichi che possono durare anche settimane o mesi. Stando a quanto emerge da un ricerca della ong Fair Health, su due milioni di cittadini americani infettati dal virus il 23 per cento ha dovuto far ritorno dal medico un mese dopo la positività a causa di alcune conseguenze a più lungo termine della malattia. Alcune di queste, stando a quanto riferiscono specialisti concordanti, sono frutto del persistere di una esagerata risposta immunitaria, che causa un disequilibrio nella produzione di alcune proteine del sistema di difesa del nostro corpo. Il ricercatore Edimar Bocchi, coordinatore dello studio che verrà realizzato da Incor, definisce questo tipo di reazione “tempesta infiammatoria”.
Il cbd è un principio attivo della cannabis che non ha effetti psicotropi e che può essere utilizzato come antinfiammatorio nella prevenzione e nel trattamento delle malattie polmonari. Oltre a questo, possiede diversi altri effetti terapeutici provati scientificamente. La ricerca, che ha una durata prevista di tre mesi, mira a scoprire se il cannabidiolo può essere in grado di equilibrare le proteine che regolano la risposta immunitaria, così come avviene appunto con altre malattie. “Non esiste nessun altro studio al mondo rispetto al possibile uso del Cbd per questa patologia cronica”, ha spiegato Bocchi alla rivista Jovem Pam. “Inoltre l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha indicato i trattamenti per il Long Covid come una priorità, a causa della sua alta incidenza. Dato che il cannabidiolo si è già dimostrato efficace in altri modelli, esiste una ragione per credere che si possa utilizzare anche con questo tipo di popolazione di pazienti”. (Agenzia DIRE)