Charlie Hebdo un anno dopo. “Fratellanza e uguaglianza non sono più garantite”

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PARIGI – Era poco prima di mezzogiorno quando un uomo è stato ucciso dalla polizia vicino a un commissariato a Parigi, zona nord. Aveva una cintura esplosiva finta, ha spiegato il ministro dell’Interno. Secondo le prime indiscrezioni, avrebbe gridato ‘Allah Akbar’, ‘Allah è  grande’, nel tentativo di aggredire un agente. Stava cercando di entrare con un coltello nella stazione di polizia. “Il terrorismo non ha terminato di porre una terribile minaccia sul nostro Paese”, ha commentato il presidente Hollande, che esattamente un anno fa faceva i conti con la strage nella redazione di Charlie Hebdo, in cui morirono 12 persone. Era cominciato così il 2015 francese, che si sarebbe concluso con gli attentati del 13 novembre.

Cos’è cambiato da quel tragico 7 gennaio 2015? L’abbiamo chiesto a Marco Cesario, giornalista e scrittore italiano che da anni vive a Parigi. “Gli attentati hanno lasciato pesanti strascichi dal punto di vista della libertà di stampa. A fronte di una società civile che s’è mobilitata in maniera compatta in difesa della libertà d’espressione, sulla programmazione culturale per un lungo periodo è apparsa un’ombra lunga e minacciosa: quella della paura, del timore della rappresaglia violenta, del rispetto ossequioso e salmodiante del politically correct che si traduce in una sola, un tempo impronunciabile, parola: autocensura. Ci sono stati festival, musei e cinema che hanno cambiano parte della propria programmazione, addirittura artisti, produttori o cineasti che ritirano opere”.

 

Il problema, secondo Cesario, è che a oggi a difendere Charlie e il significato simbolico che ora rappresenta, ci siamo le istanze più xenofobe e reazionarie, che considerano nemico il musulmano o l’arabo non perfettamente integrato. “Per strada a manifestare l’11 gennaio mancava il ‘proletariato’ francese, quegli arabi delle banlieue da decenni discriminati e dislocati in zone povere, che vivono in quartieri e zone dove la disoccupazione è più alta che altrove, dove le opportunità sono esigue, dove se ti chiami Mohammed un futuro non ce l’hai”. Secondo il giornalista, lo spirito di Charlie ha diviso la Francia, “la sicurezza ha sopravanzato la libertà, e la fratellanza e l’uguaglianza non sono più garantite”.

Conseguenza di questa frattura, anche il ritorno in forze del Front National di Marine Le Pen, sconfitto solo grazie all’alleanza tra socialisti e repubblicani. “D’altro canto è pauroso ciò che avviene a livello politico all’interno dell’Assemblea nazionale. Un progetto di legge per far decadere la nazionalità dei bi-nazionali, nuovi illimitati poteri alla polizia, stato d’emergenza che si prolunga, frontiere chiuse, dispositivi antiterroristici che vanificano decenni di conquiste sociali e minacciano la libertà di movimento e in generale le libertà civili di tutti i cittadini”. Ripiego e chiusura culturale e politica, a livello francese e a livello europeo.

Cesario critica anche la scelta di Hollande di bombardare la Siria dopo gli attentati di novembre. Una scelta assurda, sostiene, considerato che 4 degli attentatori non erano siriani ma francesi che vivevano nelle banlieue: “Le bombe non solo non hanno risolto il problema, ma l’hanno addirittura accentuato. Ma c’è un altro dato inspiegabile sul quale occorrerebbe riflettere. È paradossale che la Francia, il Paese europeo più colpito dagli attentati sia anche il Paese che abbia guadagnato di più in Europa nella vendita di armi nel 2015: quasi 15 miliardi di euro. Ecco un dato reale su cui riflettere”. (Redattore Sociale)