Cie di Ponte Galeria, “ecco le tante ragioni per volerlo chiuso”
ROMA – Nel corso di due visite effettuate in questi giorni nel Cie di Ponte Galeria (30 novembre e 3 dicembre) assieme ad alcuni parlamentari (l’europarlamentare Elly Schlein (S&D), il deputato Stefano Fassina (SI), nonché l’assistente dell’europarlamentare Barbara Spinelli, Daniela Padoan), la Campagna “LasciateCIEntrare” ha riscontrato che le condizioni del centro sono “ancora inadeguate a garantire la dignità delle persone trattenute”. Nell’ultima visita, la delegazione ha avuto l’opportunità di restare nel centro per quasi l’intera giornata, riuscendo a visitare attentamente tanto il settore maschile che quello femminile. “Il Cie – afferma la campagna in una nota – risente di quello che chiamiamo ‘effetto hot spot’. Sono presenti numerosi e comprovati casi di vulnerabilità che necessitano di urgentissimo intervento e l’accesso alla difesa non è pienamente garantito”. Non solo, i promotori della campagna sottolineano di aver incontrato una popolazione di trattenuti variegata, composta da persone provenienti dagli sbarchi, da transitanti che erano nel Baobab (centro oggi chiuso), da detenuti, da tante giovanissime ragazze nigeriane (la cui età copre generalmente un range che va dai 18 ai 25 anni, anche se molte sembrano minorenni. “Sono quasi sempre vittime di violenze atroci subite in Libia e portano avanti richieste – come quella di acquistare un modesto cellulare per poter utilizzare la scheda SIM di un unico gestore, con numero italiano e contatti già definiti – che sembrano palesi indizi di tratta finalizzata allo sfruttamento per motivi sessuali”). “Tutti sottoposti a violazioni dei loro diritti fondamentali”, si denuncia. Da qui una lunga nota, nella quale vengono segnalati alcuni elementi di “estrema gravità”. Moltissime le irregolarità trovate, raccolte in ben 18 punti. Eccoli in sintesi.
“Le condizioni del centro – denuncia la campagna – (mancanza di riscaldamento e in alcuni settori di acqua calda, wc alla turca rotti, perdite di acqua anche nei locali mensa, sporcizia e cedimenti strutturali, assenza di adeguate forniture igieniche e di vestiario) sono assolutamente inadeguate a garantire la dignità delle persone trattenute. La direzione ha dichiarato di aver lungamente chiesto un intervento mai effettuato che comunque porterebbe a dover temporaneamente diminuire il numero di persone trattenibili nel centro, oggi quasi al limite della capienza (196 persone sui 250 considerati tetto massimo)”. Altro aspetto evidenziato è “l’altissimo numero di ragazze prevalentemente nigeriane, colpite subito dopo l’ingresso in Italia da provvedimento di respingimento cd. differito e decreto di trattenimento e ristrette al Cie dove, finalmente rese edotte della possibilità di richiedere asilo, hanno tutte inoltrato richiesta di protezione internazionale.
In questi giorni le donne sono la maggioranza fra i trattenuti (105 rispetto ai 91 uomini). Queste donne, come tutti i richiedenti protezione, se il loro trattenimento è stato convalidato (come avviene quasi sempre) dal tribunale ordinario, restano rinchiuse nel Cie fino al momento della convocazione in Commissione per l’intervista ed alla successiva decisione”. Non solo: “Nei casi in cui il tribunale non convalida il trattenimento (il 90%), i richiedenti protezione vengono liberati e tradotti in un Centro di Accoglienza Straordinaria, in attesa della decisione della Commissione territoriale.
Nei casi in cui il trattenimento venga convalidato o prorogato (tutti quelli nei quali ci siamo imbattuti), la privazione della liberà può durare fino 12 mesi, in attesa dapprima della decisione della Commissione e poi, qualora la decisione sia negativa, dell’esito del ricorso avverso il diniego”. Di fatto, per la delegazione, il Cie di Roma “risente dell’effetto ‘hotspot’ per cui diviene il luogo dove rinchiudere in attesa di rimpatrio le persone che, appena approdate dopo essere state salvate in mare anche da navi di soccorso ‘indipendenti’ come quelle di Msf, sono state evidentemente registrate, subito dopo la fotosegnalazione, come ‘Cat 2’ (ingresso irregolare) secondo quanto indicato nella ‘Road Map Italiana’ del 28 settembre 2015 a firma del ministro dell’Interno (che non ha alcun valore di legge né dovrebbe poter incidere sui diritti inviolabili degli stranieri in ragione della riserva di legge posta dall’art. 10 comma 2 costituzione). In sintesi, appena approdati i profughi vengono divisi (presumibilmente in base alla nazionalità, atteso che non viene fornita loro alcuna informativa sulla possibilità di chiedere protezione) tra ‘irregolari’ e ‘ricollocabili’ ovvero potenziali richiedenti asilo”.
Molte le irregolarità riscontrate, legate alle procedure. Ma “un altro elemento problematico è legato alla presenza di funzionari dei consolati che debbono svolgere il proprio mandato di riconoscimento dei trattenuti e di rilascio di documento di viaggio Alcuni paesi non rispondono a tale richiesta, altri identificano i propri connazionali ma non forniscono poi il nulla osta necessario al rimpatrio, altri ancora effettuano identificazioni sommarie che comportano il rischio -già presentatosi con una presunta minorenne nigeriana – di identificazioni (e conseguenti provvedimenti di rimpatrio) di massa e quindi potenzialmente fallaci, poste anche ai danni di persone ad alto indice di vulnerabilità e dunque potenzialmente inespellibili”.
Detto delle nigeriane, “tra gli uomini coloro che hanno ricevuto il decreto di respingimento sono decisamente in percentuale inferiore: quasi tutti sono stati colpiti da decreto di trattenimento in seguito a decreto di espulsione. Molti di loro si trovano in Italia da alcuni anni ed erano già titolari di permesso di soggiorno poi venuto a scadere – si precisa -. Continua ad esserci l’afflusso di ex detenuti, non congruamente identificati o privi comunque del nulla osta necessario rilasciato dalle autorità del Paese d’origine per il rimpatrio forzato. Persone che ormai con frequenza vengono tradotte nel CIE, liberate dopo la convalida o la proroga del trattenimento e poi nuovamente fermate e trattenute, a dimostrare di come occorra un cambiamento strutturale della legge”. Ed ancora: “Gli uomini presenti al momento della visita sono per lo più provenienti da paesi del Maghreb e dall’Africa Sub- Sahariana, meno gli asiatici e gli europei, la loro età media è più alta rispetto alle donne. Abbiamo incontrato fra gli altri gli uomini fermati nel Centro di Accoglienza Baobab il 24 novembre scorso, sono in 11, ognuno con una propria storia particolare. Fra questi un ragazzo della Guinea Bissau, che parla unicamente mandinga e si dichiara ed appare visibilmente minorenne. Nel suo caso l’esame rx del polso si è rivelato una volta di più invasivo e totalmente fallace ai fini dell’accertamento dell’età”. Presenti anche uomini “fermati in seguito ad accertamenti anti terrorismo (in moschea o ai danni di uomini ‘barbuti’) estranei a qualsiasi attività terroristica ma privi di permesso di soggiorno”.
Infine la questione della salute. “Abbiamo avuto modo di incontrare, tanto nel settore femminile che in quello maschile, numerosi e comprovati casi di vulnerabilità che necessitano di urgentissimo intervento. Stati depressivi o di frustrazione, determinate anche dall’assoluta inadeguatezza dei luoghi a garantire la dignità dei trattenuti, dall’assenza di prospettive future, stanchezza, stato di abbandono e inattività, condizioni tutte in grado di generare fenomeni di autolesionismo e tendenze al suicidio. Più di una delle persone con le quali abbiamo interloquito ci ha manifestato di non poter sopportare un eventuale rimpatrio forzato, per le conseguenze drammatiche e fatali che questo comporterebbe”.
Un’attenta analisi merita la questione dell’accesso alla difesa. Molte delle persone incontrate hanno avuto unicamente un avvocato d’ufficio del quale riferiscono di ignorare anche il nome. “Altro problema serio deriva dal fatto che molte persone, soprattutto le ragazze nigeriane, si sono ritrovate quasi tutte come avvocato assegnato il medesimo difensore, peraltro avvertito quasi contestualmente all’ente gestore dell’invio dei fermati nel Cie. Sempre in base alle testimonianze raccolte, il legale in questione è presente all’atto della convalida (il “gettone” di udienza con il gratuito patrocinio garantisce un introito di 120 euro per ogni singola udienza) ma poi non si impegna con il medesimo zelo nelle fasi successive di eventuali ricorsi avverso il rifiuto di protezione da parte della Commissione, fasi per le quali non risulta esistere alcuna automaticità di accesso al gratuito patrocinio”. (Agenzia Redattore Sociale)