Codice di condotta, ong spaccate
ROMA – Erano presenti Save the children, Medici senza frontiere e la ong tedesca Jugend Rettet al vertice tra le organizzazioni umanitarie, impegnate nel salvataggio in mare, e il capo di gabinetto Mario Morcone, per verificare la posizione delle Ong in merito al Codice di condotta elaborato dal ministero.
Medici senza frontiere, che nei giorni scorsi aveva diffuso un documento in cui elencava i punti critici, indicando le modifiche richieste, non ha accolto il documento del Viminale e ha inviato subito dopo l’incontro una lettera al ministro dell’Interno per spiegare le proprie posizioni. Dello stesso parere la ong Jugend Rettet Iuventa, mentre Save the children ha firmato il Codice di condotta.
La decisione di rinviare ad oggi la firma del documento era stata presa nel corso della riunione di venerdì scorso. Le organizzazioni umanitarie hanno ricevuto successivamente all’incontro il testo modificato del Codice di condotta, in cui sono state recepite alcune delle richieste avanzate nella stessa riunione. Alle 16 di oggi il nuovo incontro, che si è appunto chiuso, per decidere in maniera definitiva se firmare o meno il Codice di condotta.
“Abbiamo deciso di non firmare, ma tutti quei punti che non sono problematici per noi continueremo a rispettarli. Abbiamo fatto presente al ministero che riconosciamo l’approccio costruttivo, ma abbiamo sottolineato che alcuni punti essenziali non li abbiamo ritrovati nell’ultima bozza”, sottolinea Gabriele Eminente direttore generale di Medici senza frontiere. Secondo la ong il codice avrebbe dovuto avere “un quadro diverso”. Questo invece contiene “una sottovalutazione dei principi umanitari e dell’obiettivo di salvare vite”. “Per noi è difficile firmare un codice che prevede la possibilità di portare armi a bordo, questo non è un segreto per nessuno, ma una policy di cui Msf si avvale in tutti i paesi in cui opera. E’ così in Afghanistan e nella Repubblica centroafricana, è così su una nave da soccorso”. L’ong contesta anche la formulazione relativa alla questione dei trasbordi, “il punto è stato migliorato, ma noi avevamo chiesto che fosse eliminato, perché è un punto che indebolisce l’intero sistema, e può potenzialmente comportare altre morti in mare”. “Dal punto di vista operativo “non cambia nulla -spiega -, continueremo ad operare dentro un quadro normativo nazionale e interinazionale che abbiamo sempre rispettato. Dovremo vedere se cambierà qualcosa per le autorità italiane. Nel codice non è più presente l’impossibilità di attraccare nei porti italiani – conclude Eminente -il messaggio che ci è stato passato è che non firmando il codice di condotta non facciamo parte di un sistema e sarebbe stato utile per chi l’ha proposto che tutti ne avessero fatto parte”. Infine Eminente spiega che a preoccupare è anche la coincidenza temporale tra la stipula del codice di condotta e le decisioni del governo italiano sulla missione in Libia “questo ha aumentato la nostra preoccupazione a essere partecipi come parte di un sistema”. Anche l’ong tedesca Jugend Rettet Iuventa ha deciso di non firmare perché – spiega Titus Molkenbur – il codice non ci permette di essere più efficenti e produttivi nel salvare vite, di rispettare il diritto internazionale e i principi umanitari”.
Di parere opposto invece Save the children, che ha deciso di accettare il Codice di condotta perché come spiega il Direttore generale Velerio Neri “gran parte delle cose che il Codice prevede, già le facciamo da sempre. Nella sostanza non cambia nulla. Inoltre laddove c’erano degli articoli che ci preoccupavano, come nel caso dei trasbordi, abbiamo risolto bene e seguiremo le indicazioni della Guardia costiera”. Anche per quanto riguarda la presenza della polizia giudiziaria a bordo Save the children si dice tranquilla perché si tratterà di una “presenza eventuale e richiesta dalle autorità italiane di cui ci fidiamo, per questo non vediamo nessun pericolo”. Inoltre spiega Nieri “abbiamo ottenuto di citare una policy internazionale che Save the children rispetta in tutto il mondo sulla sicurezza del nostro personale e dei beneficiari. Ci sentiamo tranquilli di aver fatto una cosa corretta e giusta, ci dispiace che le altre ong non abbiano firmato.”
C’è il sì anche di Moas. “La nostra missione è da sempre quella di salvare più vite possibili in mare, e questo documento ci permette di continuare a farlo” spiega il fondatore Christopher Catrambone. “Moas ha firmato questo documento in solidarietà con il governo ed il popolo Italiano, gli unici in Europa che si impegnano ogni giorno per permettere ad organizzazioni come la nostra di far fede alla propria missione umanitaria”, ha aggiunto Catrambone. “La priorità per Moas è dal 2014 quella di impedire inutili morti in mare, e se firmare il Codice di Condotta rappresenta l’unica via legale per permetterci di perseguire questo obiettivo, allora Moas non può e non deve tirarsi indietro”. Catrambone ha anche spiegato come la maggior parte delle richieste contenute nel documento finale sottoposto dal governo alle Ong facessero riferimento a “prassi e modus operandi che hanno caratterizzato l’attività di Moas fin dalla sua fondazione, nel 2014” e che pertanto non richiedevano uno sforzo eccessivo da parte dell’organizzazione. Anche per questo motivo, le negoziazioni tra il governo e le ong si sono svolti in un clima di “massima collaborazione e rispetto reciproco”. “Ogni organizzazione Sar ha le sue prerogative e obiettivi, sebbene tutte perseguano la missione di salvare vite umane in mare. – ha concluso – Moas ha sempre creduto che ‘Nessuno Meriti di Morire in Mare’, ed è intenzionata a portare avanti questo credo con tutti gli strumenti legittimi esistenti. La nostra firma a questo documento non ha alcuna connotazione politica: noi siamo un’organizzazione umanitaria, e in quanto tale indipendente. Andiamo avanti e rimaniamo grati al governo Italiano per permetterci di continuare a fare quello che sappiamo fare meglio: evitare che il Mediterraneo si trasformi in una tomba”. (Agenzia Redattore Sociale)