Confessioni di due “tagliatrici di ragazze”: ora lottiamo contro le mutilazioni genitali
NAIROBI – “Nel momento in cui taglio un lembo di carne dei suoi genitali, la ragazza viene sopraffatta dal dolore. Il suo corpo si muove per gli spasmi ed il coltello può scivolare, e anche il pezzo di carne che hai in mano scivola dalle dita, e finisci così per tagliare anche dell’altro. A volte mi è capitato di tagliare accidentalmente il punto in cui in una donna passa l’urina, provocando così emorragie. Alcune giovani svengono”. Il ricordo doloroso e scioccante è diEpanu Doros, un’ ex “tagliatrice di ragazze”: fino a due anni fa, infatti, operava la circoncisione femminile. La sua storia, riportata dall’emittente Kenyana Capital Fm è stata resa nota da Amref in occasione della Giornata contro le mutilazioni genitali femminili, “Tolleranza zero”. Secondo la comunità internazionale sono circa 125 milioni le donne che sono state sottoposte alla pratica, e tre milioni sono le ragazze a rischio ogni anno.Nonostante le mutilazioni siano fuorilegge in Kenya, infatti, continuano a essere praticate in alcune comunità come quelle Kuria, Kisii, Masai, Embu e Meru.
“Usavo una lama di rasoio. Quando non ne avevo, prendevo vecchi pezzi di ferro, li affilavo sulle punte e li utilizzavo al posto del rasoio – racconta, ricordando che dopo aver reciso i lombi di carne, li gettava a imputridire nella bava dei vermi. “Ero solita tagliare un pezzo dall’interno e poi lo gettavo via, mentre la giovane piangeva e urlava”.
Le mutilazioni genitali femminili consistono nell’eliminazione parziale o totale dei genitali femminili esterni. Doros, ricorda di aver tagliato spesso le donne nel punto sbagliato, perché si dimenavano dal dolore. E oggi vive nel rimorso di aver esposto così tante persone al rischio di morire. “Una volta l’emorragia non si arrestava, il sangue era ovunque – racconta -. L’abbiamo portata in ospedale e lì l’hanno ricucita. Ma stava quasi per morire”. Doros ha circonciso anche sua figlia, che in seguito ha riportato una grave emorragia: “Ho tre ragazze, ho tagliato la maggiore di loro facendomi aiutare da un’altra donna – spiega – . Abbiamo rimosso tre lembi. E’ guarita dopo molto tempo”.
Come Doros, anche Loise Kapande, è un’ex tagliatrice di ragazze: ne ha incise più di quante ne riesca a ricordare. Per ogni taglio prendeva circa duemila scellini, più una ricompensa tradizionale: una coda di pecora. La pratica della mutilazione genitale è molto diffusa in alcune culture, come ricorda Salome Kirunwa, nonna di cinque ragazze: “credevamo che la mutilazione genitale rendesse le ragazzi forti, che le facesse diventare vere donne– spiega – . Per questo la sostenevamo. Ora sappiamo che non è una buona pratica, ma le persone vogliono che si faccia ancora. Ma io, che ho sottoposto le mie figlie al taglio, non farò lo stesso con le mie nipoti”. Anche Doros e Kapande oggi si sono pentite e sfruttano la loro popolarità per sensibilizzare la comunità Masai e fermare questa pratica, con l’aiuto di Amref. (Agenzia Redattore Sociale)