Congo, bambini minatori per estrarre cobalto utilizzato per batterie degli Smartphone
Migliaia di bambini – 40.000 nel 2014 secondo Unicef – lavorano nelle miniere di cobalto nella Repubblica Democratica del Congo. Senza alcun tipo di protezione. Almeno 80 minori, solo nel sud del paese, hanno perso la vita tra settembre 2014 e dicembre 2015.
Per vederci chiaro, Amnesty International e Afrewatch hanno chiesto alle aziende coinvolte nel mercato di dimostrare che il cobalto estratto nella Repubblica Democratica del Congo grazie al lavoro minorile non viene usato nei loro prodotti.
Lo sfruttamento nelle miniere di cobalto alimenta un mercato di circa 125 miliardi di dollari l’anno. Ma mentre le aziende produttrici di apparecchi elettroniche e le fabbriche automobilistiche – i settori in cui è utilizzato il cobalto – realizzano ingenti profitti, l’infanzia di migliaia di bambini viene cancellata per sempre.
Come quella di Paul, 14 anni, orfano. È uno degli 87 minatori o ex minatori incontrati da Amnesty International in vista del rapporto. Ha iniziato a lavorare nella miniera a 12 anni. Ha già i polmoni a pezzi: “Passo praticamente 24 ore nei tunnel. Arrivo presto la mattina e vado via la mattina dopo. Riposo dentro i tunnel. La mia madre adottiva voleva mandarmi a scuola, mio padre adottivo invece ha deciso di mandarmi nelle miniere”.
I dati raccolti sono contenuti in un rapporto che “ricostruisce il percorso del cobalto estratto nella Repubblica Democratica del Congo. Attraverso la Congo Dongfang Mining (Cdm), interamente controllata dal gigante minerario cinese Zheijang Huayou Cobalt Ltd (Huayou Cobalt), il cobalto lavorato viene venduto a tre aziende che producono batterie per smart phone e automobili: Ningbo Shanshan e Tianjin Bamo in Cina e L&F Materials in Corea del Sud. Queste ultime riforniscono le aziende che vendono prodotti elettronici e automobili”.
Ahong, Apple, BYD, Daimler, Dell, HP, Huawei, Inventec, Lenovo, LG, Microsoft, Samsung, Sony, Vodafone, Volkswagen e ZTE sono le 16 le multinazionali che risultano clienti delle tre aziende che producono batterie utilizzando il cobalto proveniente dalla Huayou Cobalt o da altri fornitori della Repubblica Democratica del Congo, contattate.
Di queste, “una ha ammesso la relazione, quattro hanno risposto che non lo sapevano, cinque hanno negato di usare cobalto della Huayou Cobalt, due hanno respinto l’evidenza di rifornirsi di cobalto della Repubblica Democratica del Congo e sei hanno promesso indagini” In .pratica, “nessuna delle 16 aziende è stata in grado di fornire informazioni dettagliate, sulle quali poter svolgere indagini indipendenti per capire da dove venga il cobalto”.
“Il fatto certo – spiega Amnesty International – è che la Repubblica Democratica del Congo produce quasi la metà del cobalto a livello mondiale e che oltre il 40 per cento del cobalto trattato dalla Huayou Cobalt proviene da quello stato. Il cobalto è al centro di un mercato globale privo di qualsiasi regolamentazione. Non è neanche inserito nella lista dei “minerali dei conflitti” che comprende invece oro, coltan, stagno e tungsteno”.
Redazione