Detenuti e immigrati nel discorso di Sant’Ambrogio del cardinale Scola
MILANO – I detenuti e gli immigrati sono al centro del tradizionale “discorso di Sant’Ambrogio” tenuto dal cardinale Angelo Scola questa sera nella Basilica dedicata al patrono. L’Arcivescovo affronta il tema della “Misericordia e giustizia nell’edificazione della società” e cita come casi emblematici la situazione nelle carceri e l’accoglienza dei migranti. Sul primo caso, sottolinea l’importanza delle misure alternative alla pena in carcere. “Tutte queste sono misure positive -sostiene il cardinale Scola-, ma richiedono l’impegno fattivo della società civile in tutte le sue espressioni. Infatti, queste pratiche domandano di riorganizzare gli spazi e le attività negli istituti penitenziari, di dare risposta alla richiesta di abitazioni per gli arresti domiciliari, di assistere con viveri e abbigliamento e di offrire percorsi di lavoro non retribuito o retribuito e di accoglienza a coloro che scontano la loro pena fuori dagli istituti… È impensabile che tutti questi bisogni possano trovare risposta senza il coinvolgimento effettivo dei corpi intermedi”.
L’Arcivescovo di Milano punta l’attenzione anche sui tanti detenuti che non riescono ad accedere alla misure alternative. “Occorre inoltre segnalare che l’applicazione di queste misure lascia all’interno degli istituti le persone impossibilitate a beneficiarne, non solo in termini di legge (reati ostativi), ma anche in termini di povertà e bisogno (mancanza di abitazione, scarsa rete sociale, mancanza di appoggio familiare). È necessario prendersi maggior cura anche di queste persone coinvolgendo operatori e volontari per garantire diritti effettivi a tutta la popolazione detenuta”.
L’accoglienza dei profughi è un tema che rischia di mettere in conflitto il rapporto tra misericordia e giustizia. “È un ambito in cui emerge chiaramente una forte dissociazione tra lo slancio compassionevole nei confronti delle migrazioni irregolari e i tentativi di trovarvi una ragionevole soluzione giuridica”. Secondo l’Arcivescovo di Milano “non basta focalizzarsi sulle disumane, inaccettabili condizioni del viaggio dei migranti. Si deve guardare bene in faccia a un dato: queste persone sono costrette a sostenere simili fatiche per ragioni di assoluta necessità, come la difesa della vita, della libertà o la determinazione a lasciarsi alle spalle la fame e la miseria. L’immigrazione, infatti, non solo mette in campo la necessità di approfondire una cultura dell’accoglienza, ma anche e soprattutto un giudizio circa la radice dell’odierno sistema socio-economico che è all’origine del fenomeno migratorio”.
Il terrorismo non fa venir meno la necessità di impegnarsi per l’integrazione. “L’aggravarsi del terrorismo islamista ed il peso che va assumendo, anche per l’Europa, non cambiano il carattere strutturale del “meticciato di culture e di civiltà” che le migrazioni presentano. L’attuale e imponente fenomeno migratorio presenta certi aspetti di emergenza, ma è già – e lo sarà sempre più – un fenomeno strutturale. Inoltre il terrorismo non potrà essere battuto senza un processo integrativo che domanda ricerca e promozione di “senso”, impossibile senza un intenso risveglio dell’Europa.
Alle istituzioni statuali l’integrazione degli immigrati domanda di garantire il contesto di ordine, di pace e di benessere necessario perché l’accoglienza possa essere concretamente attuata dai singoli e dai corpi intermedi. L’autorità costituita dovrà essere particolarmente attenta, in proposito, a salvaguardare la pregnanza della capacità della società civile di sviluppare la propria identità e la propria storia, in altri termini la sua capacità di “tradizione innovativa” in quanto fattore dinamico di edificazione di civiltà. Nel massimo rispetto della storia, della cultura e dei costumi del popolo che rappresenta, l’autorità statuale, ai vari livelli, non dovrà pretendere di imporre in modo meccanico un’idea astratta di integrazione. È fuori dubbio che il fenomeno migratorio visto in tutti i suoi aspetti anche negativi, ha bisogno – come da tempo chiede l’insegnamento sociale della Chiesa – di un nuovo ordine mondiale”.
Il cardinale Scola conclude il suo discorso rilanciando l’invito di Papa Francesco a guardare il mondo “dalla periferia, col punto di vista di quelli ‘lasciati fuorii’. “Lungi dall’essere un invito moralistico quella del Papa è una lettura acuta delle falle che si sono aperte nel nostro mondo globalizzato -sottolinea l’Arcivescovo-. In questa realtà, infatti, tutte le periferie si somigliano. Perciò guardare il mondo dal punto di vista degli esclusi conduce a ridurre l’autogiustificazione del sistema che genera tale esclusione. Anche Milano patisce le contraddizioni sociali proprie di questo stato di cose: cito solo l’esclusione dei giovani dalla possibilità di vivere da protagonisti, negli affetti e nel lavoro”.