“Di giornalismo freelance non si vive”
“Ho deciso di non fare più il corrispondente per media italiani. In Italia di giornalismo freelance non si vive e noi giovani giornalisti/e non abbiamo la forza e la voglia di cambiare questa situazione. Chi lavora nei media sa che è così. Non c’è bisogno di tante parole. Arrivi massimo a 4-500 euro al mese, non è sostenibile”. Si apre così il post con cui Alberto Tetta, giornalista bolognese che lavora come freelance in Turchia, annuncia su Facebook che non scriverà più per i media italiani: “Le frustrazioni le lascio alle spalle senza tanta amarezza. A volte bisogna deporre le armi, almeno per un po’ e ripensarsi. Le soddisfazioni e gli obiettivi professionali che mi ero posto in gran parte li ho raggiunti. Non ho mai accettato di lavorare gratis e mai a “meno di 50 euro a pezzo”, ho sempre pagato le tasse, regolarmente fatturato, pagato migliaia di euro all’Inpgi, all’Ordine dei giornalisti etc. Non ho rimpianti insomma. La mia parte l’ho fatta. E a parte molti difetti, non mi credo certo il giornalista migliore del mondo, qualche competenza, credo di averla accumulata in questi anni”. Semplicemente, continua, “per chi vuole fare il freelance nelle redazioni non c’è posto e negli esteri non si investe e quindi non si fanno inchieste e non si lavora in condizioni di sicurezza a volte pagando anche con la vita. Gli esempi, anche recenti sono tanti”. Alberto Tetta ha collaborato con Osservatorio Balcani e Caucaso, Europa, il Riformista, il Manifesto, l’Unità, Radio 24, Left, Radio e televisione svizzera italiana, Lettera43, Redattore Sociale, Rainews, Askanews, Panorama.
Dal 2005 Alberto Tetta vive e lavora a Istanbul, in Turchia, “un Paese in cui si combatte una guerra sanguinosa con i curdi, il governo è sempre più autoritario e ci sono autobombe e stragi quasi quotidiane senza contare che la guerra civile siriana si combatte ormai anche qui” ma su cui il silenzio è quasi totale. “Colpevolmente sui media mainstream italiani se ne parla pochissimo. Di analisi manco l’ombra. Ai direttori (non ho detto lettori, badate bene) non interessa”, scrive. E poi fa una piccola autocritica: “La responsabilità di raccontare quanto accadeva in questi ultimi mesi l’ho sentita forte anche io, a volte ha fatto male, ma bisogna fare delle scelte e la mia è stata quella di prendermi il tempo per ragionare sul futuro senza farmi travolgere dal presente”. E ancora: “La qualità è così bassa e l’ignoranza così diffusa che dopo quasi 10 anni di lavoro da Istanbul con i media italiani ancora mi meraviglio per il livello sempre più basso che si riesce a raggiungere. Arrivati al fondo da tempo si scava. Certo ci sono colleghi preziosi e persone competenti, ma lavorano soprattutto per passione facendo un lavoro sottopagato e in condizioni di sicurezza precaria, vivendo poco sopra la soglia di povertà. Producono storie di qualità a loro spese, a loro rischio e pericolo e nonostante, non grazie al sostegno dei loro direttori troppo dipendenti dalla politica di palazzo per voltarsi a guardare quanto accade nel mondo”.
Alberto Tetta assicura che le storie che le persone gli hanno affidato e gli affideranno le racconterà in altri modi, forme e tempi. “Continuerò a scrivere e accettare proposte ma scriverò solo per chi mi va e quando mi va, senza inseguire più un’industria mediatica che non riesce a produrre quasi niente di decente sugli esteri a livello mainstream. Guardo oltre all’Italia e a forme di narrazione nuove che vanno al di là delle news”. (Agenzia Redattore Sociale)