Dj Fabo: una storia per ricordare il diritto all’interruzione delle cure
di Riccardo Pannacci* per la rubrica IL CAMICE BIANCO
La vicenda della morte del giovane Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, avvenuta il 27 febbraio di quest’anno in una clinica svizzera con la procedura del “suicidio assistito”, ha riportato alla ribalta la discussione sul tema del fine vita e sulla legge in discussione in parlamento sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT), il cosiddetto testamento biologico. Questa dolorosa storia ha confermato però come nel nostro Paese, oltre ad esserci un vuoto legislativo in tema di fine vita, ci sia anche una gran confusione su tutto quello che concerne i diritti delle persone e sulle procedure mediche che possono essere utilizzate per garantire questi diritti. Non voglio però entrare nel merito del dibattito parlamentare sulle DAT che va avanti da molto tempo (ma non sembra veder mai la luce), perché questo argomento assume una rilevante importanza nel caso di persone non più in grado di intendere e di volere, ad esempio a causa di uno stato di coma (tipo la triste storia a tutti nota di Eluana Englaro).
Voglio invece discutere di un altro aspetto non meno importante del fine vita, cioè la scelta consapevole del rifiuto delle cure per malattie inguaribili, altro ambito su cui si fa spesso molta confusione e c’è poca chiarezza. Ho constatato più volte infatti come questa ignoranza del tema sia assolutamente trasversale e non riguardi solo i non addetti ai lavori, ma anche gli organi di informazione, alcuni politici e gli stessi medici, e tutti sappiamo come in questi casi sia facile fare delle strumentalizzazioni che possono fuorviare l’opinione del cittadino; vorrei provare pertanto, ricostruendo brevemente questa vicenda, a chiarire le idee dei lettori in modo semplice e chiaro.
Non ho mai visto né conosciuto Fabiano personalmente ma ho seguito la sua storia tramite i mass media e per il tipo di professione che svolgo non è stato difficile per me ricostruire la situazione clinica che ha caratterizzato il suo ultimo periodo di vita. Fabiano era un ragazzo normale di 39 anni che nel 2014 era rimasto vittima di un grave incidente stradale; da allora era diventato cieco e tetraplegico (cioè non era più in grado di muovere le braccia e le gambe) in seguito alle lesioni irreversibili di alcune parti del suo cervello e del suo midollo spinale. Fabiano ha quindi vissuto dopo l’incidente in una situazione psicofisica che lo ha costretto a letto, perennemente assistito da familiari e personale sanitario; nonostante svariati tentativi di cure e terapie la sua situazione non è migliorata. Inoltre, come si vede dalle immagini di un suo video-appello al presidente della Repubblica Mattarella, Fabiano appare con un tubicino sul collo, chiamato in termini medici “tracheotomia”, cioè una cannula inserita in trachea che viene collegata ad una macchina (ventilatore) che permette di respirare; questo significa che Fabiano non aveva più neanche una respirazione autonoma sufficiente ed aveva bisogno di un ventilatore che garantisse questa funzione vitale. Ma non è tutto, Fabiano non era neanche in grado di alimentarsi da solo e necessitava della cosiddetta “nutrizione artificiale”, una miscela liquida di nutrienti che viene somministrata direttamente nello stomaco attraverso un tubicino che entra direttamente nella pancia (chiamato tecnicamente PEG). E’ ormai assodato come la nutrizione artificiale permanente non sia un semplice sostituto del normale pasto ma costituisca una vera e propria terapia al pari di altri farmaci. Detto questo risulta chiaro a tutti come la vita di Fabiano fosse completamente stravolta e diversa da quella di prima dell’incidente: non vedeva più e non poteva più muovere braccia e gambe, ma non solo, la sua stessa sopravvivenza dipendeva dai farmaci (nutrizione artificiale) e da una macchina (ventilatore).
A questo punto, dopo tante terapie che non hanno cambiato la situazione, Fabiano, in piena coscienza, cioè perfettamente in grado di intendere e di volere, si rende conto che non può più sopportare questa sofferenza (che potrebbe durare anche anni) e decide
di voler morire. Ma come farlo? In Italia apparentemente non è possibile (nonostante il videoappello lanciato con l’aiuto della fidanzata al Presidente della Repubblica per riaprire la discussione sul fine vita), quindi decide di andare in Svizzera per il “suicidio assistito”, una procedura che consiste nella somministrazione di una miscela di farmaci (o per bocca o per PEG) che portano alla
morte; così il 27 febbraio alle 11.40 Fabiano ci lascia. E qui inizia il tam tam mediatico: molti organi d’informazione nonché vari opinionisti iniziano a parlare di eutanasia etichettando apertamente la vicenda come una “sconfitta della vita”. Ora, prima di tutto parlare di eutanasia è un’imprecisione, essendo quest’ultima un intervento diretto di una terza persona (un medico di solito) che somministra un mix di farmaci letale su richiesta del paziente, mentre nel caso del suicidio assistito il farmaco è messo a disposizione del paziente dal personale sanitario che lo assiste, ma è la persona stessa che lo assume. E così ha fatto Fabiano: in piena lucidità, con la bocca (non potendo muovere le mani), ha morso un pulsante che ha innescato la somministrazione
automatica dei farmaci, si è addormentato (per via dell’ipnotico-sedativo) e dopo un po’ il suo cuore ha cessato di battere per via di un altro farmaco presente nel mix.
Ma il punto è un altro: lui ha deciso autonomamente di metter fine alle proprie sofferenze psico-fisiche (in seguito ovviamente a
diversi colloqui preparatori che hanno determinato la piena consapevolezza della scelta) e si è autosomministrato i farmaci che gli consentissero di farlo. Ebbene dove è possibile praticare il suicidio assistito ed eventualmente l’eutanasia in Europa? L’eutanasia è legale solo in Olanda, Belgio e Lussemburgo, mentre il suicidio assistito (legalmente riconosciuto in Svizzera) in alcuni paesi è
semplicemente depenalizzato (p.e. in Svezia). E in Italia? In Italia non solo non è consentita l’eutanasia in base all’articolo 579 del Codice Penale (omicidio del consenziente), ma anche una procedura come il suicidio assistito sarebbe punibile per chiunque assistesse il malato secondo quanto disposto dall’articolo 580 sempre del Codice Penale (istigazione o aiuto al suicidio).
E allora per i malati inguaribili come Fabiano, in attesa delle attese riforme legislative sul fine vita, non c’è altra speranza per porre fine alle proprie sofferenze che recarsi all’estero (a fronte di una notevole spesa economica e di un aggravio dei patimenti)? In realtà se analizziamo bene la situazione da un punto di vista medico-giuridico e facciamo riferimento a casi recenti no, la situazione italiana non è senza speranza anche con la legislazione vigente: il paziente ha pieno diritto, se in grado di intendere e di volere, di interrompere le cure, anche quelle salvavita senza le quali non può sopravvivere, e nel caso non sia in grado di farlo da solo ha diritto che questo venga fatto da un medico su sua richiesta, senza che lo stesso venga punito per omicidio del consenziente
come nel caso dell’eutanasia. Il caso medico-giuridico che ha fatto da spartiacque nella storia italiana in questo ambito è stato sicuramente quello di Piergiorgio Welby, un signore affetto da una malattia neurologica progressiva chiamata “distrofia muscolare” che ha determinato nel tempo la paralisi di tutti i suoi muscoli e lo ha costretto, come successo a Fabiano, alla completa
immobilizzazione a letto, alla respirazione con il ventilatore e alla nutrizione artificiale tramite PEG.
A questo punto voi vi chiederete: cosa lega le vicende di Piergiorgio e di Fabiano? Piergiorgio Welby, dopo alcuni anni di malattia, proprio come Fabiano, ha deciso di porre fine alle sue sofferenze e ha chiesto che gli venisse interrotta la respirazione con il ventilatore, ovviamente previa somministrazione di un farmaco sedativo-ipnotico che lo facesse dormire e non gli facesse
percepire il dolore e la “fame d’aria” successivamente all’interruzione della ventilazione meccanica. Dopo un primo rifiuto del medico che lo assisteva ed un ricorso d’urgenza alla magistratura rigettato, Welby ha chiesto ed ottenuto l’intervento di un medico specialista in anestesia e rianimazione, il Dr. Mario Riccio, che in data 20 dicembre 2006 gli ha praticato una sedazione profonda e ha interrotto la respirazione artificiale, cosicché dopo pochi minuti è deceduto.
In seguito però il Dr. Riccio è stato sottoposto alla richiesta di rinvio a giudizio con “imputazione coatta” dal GIP del Tribunale di Roma per “omicidio del consenziente”, come se avesse commesso un’eutanasia; tale richiesta è stata poi rigettata dal GUP Zaira Secchi come “non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato” con sentenza depositata il 17 ottobre 2007. Mi sono dilungato sulla storia di Piergiorgio Welby e l’ho legata alla vicenda di Fabiano perché quella sentenza del Tribunale di Roma, a mio modo di vedere esemplare, ha sancito chiaramente il diritto alla sospensione delle cure da parte del paziente e di fatto alla sua autodeterminazione: invocando l’art. 51 del Codice Penale “adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica”, il giudice ha
affermato che il Dr. Riccio non era punibile per omicidio del consenziente perché aveva il dovere di assecondare la richiesta del suo paziente di interrompere le cure, richiesta totalmente legittima in base agli artt. 13 e 32 della Costituzione, secondo i quali “la libertà personale è inviolabile” (Art. 13) e “nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per disposizione di
legge” (Art. 32).
In pratica la procedura del Dr. Riccio è stata perfettamente lecita non avendo determinando la morte a causa del farmaco sedativo-ipnotico (che ha semplicemente addormentato Welby e non gli ha fatto sentire dolore e “fame d’aria”) ed essendo il decesso stato causato dell’aggravamento dell’insufficienza respiratoria dovuto dall’interruzione della respirazione artificiale alla quale il paziente non voleva più essere sottoposto. A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi perché Fabiano non abbia seguito la stessa procedura di Piergiorgio e non abbia richiesto l’intervento di un medico che sotto sedazione staccasse le macchine e interrompesse le cure; anch’io mi sono fatto la stessa domanda e non ho una risposta certa, non sapendo se sia stato fatto un tentativo per intraprendere questa strada in Italia o sia stato scelto direttamente il suicidio assistito in Svizzera. Ma una cosa certa la so: se Fabiano avesse scelto l’interruzione delle cure in Italia come ha fatto Piergiorgio, a distanza di più di 10 anni avrebbe incontrato ancora ostacoli e resistenze, e forse avrebbe avuto difficoltà a trovare un altro medico come Mario Riccio perché tutti
conoscono la sua storia e tutti sanno che nel suo agire perfettamente legittimo è stato sottoposto ad un calvario mediatico-giudiziario, per fortuna conclusosi con un lieto fine.
Ed è proprio questo è il punto chiave del mio discorso: in Italia, oggi, anche senza aspettare decisioni parlamentari in merito al fine vita, il paziente può decidere legittimamente di interrompere le cure alle quali non vuole essere sottoposto, anche se questo ne causerà la morte, e può richiedere legittimamente, come ha fatto Welby, l’intervento di un medico (in genere un anestesista o un palliativista) per dormire e alleviare le proprie sofferenze negli ultimi momenti della propria vita attraverso la somministrazione di una “sedazione terminale” (termine che il Comitato Nazionale di Bioetica ha proposto di modificare in “sedazione palliativa profonda continua”) senza che alcuna autorità possa imporgli la continuazione delle cure stesse.
D’altronde, se riflettiamo un momento su alcuni banali ma efficaci trattamenti medici effettuati ogni giorno da milioni di persone in tutto il mondo, che cambiano un pochino le abitudini di vita ma non le stravolgono di certo, come ad esempio l’assunzione di una compressa per l’ipertensione arteriosa o per il diabete, e ci chiediamo: ma se qualcuno dovesse decidere di non prendere queste pasticche, pur conoscendo i rischi concreti per la sua salute, quale autorità mai andrebbe a controllarlo e lo obbligherebbe a tali terapie? la risposta è: nessuna!…allora, perché mai una qualsivoglia autorità giudiziaria dovrebbe obbligare un paziente a
continuare delle cure che non sono più in grado di migliorare la sua condizione e il suo stato di salute ma che anzi cronicizzano una malattia irreversibile che stravolge completamente la sua vita, se lo stesso non le vuole più?
In conclusione la vicenda di Piergiorgio Welby ha sancito il sacrosanto diritto di ognuno di noi ad interrompere cure che non vogliamo e la storia di Fabiano Antoniani ci ha ricordato come questo diritto debba poter essere esercitato anche in Italia senza ostacoli, nel pieno rispetto della legge e della volontà del paziente, senza che nessuno lo etichetti più come “sconfitta della vita” perché al contrario costituisce una vera e propria vittoria della dignità umana; ma per far sì che ciò accada questo diritto all’autodeterminazione deve essere ben conosciuto da tutti, compresi medici, politici e giornalisti.
*Dr. Riccardo Pannacci, Medico Specialista in Anestesia e Rianimazione
Dirigente Medico I livello dipendente a tempo indeterminato presso USL UMBRIA 2 – in servizio presso U.O. Anestesia e Rianimazione del P.O. di Spoleto (PG); Vice Responsabile Terapia Intensiva Generale e Postoperatoria P.O. di Spoleto (PG)