Donne in carcere, le proposte degli Stati Generali
ROMA – Permessi concessi non solo per gravi situazioni familiari ma anche per eventi quotidiani, allo scopo di rinsaldare i legami affettivi e consentire una maggiore responsabilizzazione e partecipazione alla vita dei figli. Apertura presso il Dap (il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) di un ufficio specifico per le donne detenute. Obbligo per l’istituzione pubblica di reperire un alloggio se la sua assenza preclude la detenzione domiciliare. Quando si parla di donne e carcere si pensa subito alla detenuta-madre ma “la questione della detenzione femminile non può esaurirsi nell’analisi della maternità in carcere”. Gli esperti del tavolo 3 degli Stati generali sull’esecuzione penale, coordinati da Tamar Pitch, docente dell’Università degli studi di Perugia, centrano la questione femminile spostando la prospettiva su un piano molto più ampio rispetto alla maternità, che abbraccia la vita in carcere, il problema della formazione professionale, della territorialità della pena, della salute fisica e psichica, dell’affettività e della sessualità, dell’istruzione e delle attività ricreative e sportive. “Non sono i bisogni della “personalità” a dover essere soddisfatti, ma quelli della persona – si legge nel rapporto conclusivo dei lavori del Tavolo – che significa in primo luogo avere come perno i diritti individuali e passare decisamente dal paradigma medico-terapeutico ad un paradigma risocializzante e responsabilizzante”.
Le proposte. “Riteniamo prioritaria e indispensabile l’istituzione presso il Dap di un Ufficio detenute di pari dignità amministrativa di quello dei detenuti”. Così come è “importante sottolineare l’esigenza di una consistente decarcerizzazione. Se, come rilevato, molte delle donne recluse hanno un passato di violenze e abusi alle spalle, la detenzione non fa che aggiungersi come ulteriore violenza a quelle già passate, e aggravare situazioni familiari già precarie”.
Territorialità e parità di risorse. I reparti femminili di carceri maschili sono ancor più carenti di risorse delle carceri femminili. Dal momento che il principio della territorialità della pena deve essere salvaguardato, dove già non si faccia, dovrebbe vigere il principio della condivisione delle risorse offerte ai maschi. Le donne dovrebbero poter partecipare ad alcune attività (corsi di istruzione e formazione, attività ricreative) assieme agli uomini. I corsi di formazione e le attività lavorative non dovrebbero in alcun modo limitarsi a materie considerate tipiche del femminile (cucito, cucina).
Detenute straniere. Un’attenzione specifica dovrebbe essere data alle donne straniere: ci dovrebbero essere mediatrici culturali e il regolamento interno dovrebbe essere redatto e fatto conoscere nelle lingue di appartenenza.
Gli ambienti. “E’ del tutto evidente – sostengono gli esperti – che stiamo proponendo un regime il più aperto possibile in cui il tempo passato nelle camere sia limitato alle ore notturne. Significa disporre di ambienti adeguati e confortevoli (luoghi esterni alle camere per cucinare e mangiare, ecc.).
La cura personale. “La cura dell’igiene personale e degli ambienti è, se non altro per ragioni storiche e culturali, più importante per le donne che per gli uomini: la previsione di bidet in ogni bagno attiguo alle camere, se attuata, sarebbe un passo importante.
Le docce dovrebbero essere sempre accessibili e dovrebbe essere previsto che le detenute possano dotarsi di tutti gli strumenti e accessori necessari per l’igiene propria e degli ambienti”.
Salute. “E’necessario disporre periodici screening relativi alla prevenzione di malattie femminili (cancro alla mammella, all’utero, ecc.). Questo servizio è già attivo in molte carceri e costituisce per molte donne la prima occasione di sperimentazione della medicina preventiva. Gli screening dovrebbero essere periodici e non saltuari o occasionali. Il consultorio di zona, con cui il carcere dovrebbe stringere una convenzione, potrebbe provvedere a corsi di educazione sessuale e sanitaria specifica. Molte detenute hanno un passato di violenze e maltrattamenti familiari e sessuali: un’attenzione a questi problemi è necessaria e dovrebbe essere affidata a personale specializzato”.
L’affettività e la sessualità. “I rapporti con i familiari, i e le partner, e in generale il contesto di affetti va tutelato il più possibile. Per quanto riguarda le donne in particolare, è noto che sono, in generale, molto più degli uomini, le custodi delle reti affettive e familiari che rischiano di disfarsi in loro assenza. E’ dunque indispensabile che si faccia tutto il possibile per incrementarne i rapporti”. Bisognerebbe “dare la possibilità a chi non sia soggetta a censura sulla corrispondenza di comunicare telefonicamente senza limiti di tempo, magari solo in determinate fasce orarie, corrispondenti all’apertura delle celle (c’è su questo un disegno di legge delega pendente), libero accesso alla posta elettronica per chi non ha censura sulla corrispondenza, libero accesso a internet e all’uso di Skype o Facetime, a chi non ha censura sulla posta e non è soggetta a misure cautelari.
Genitorialità. Le regole che tutelano la genitorialità consentono “al genitore di effettuare visite, anche in ospedale, al figlio minore che versi in pericolo di vita o in gravi condizioni di salute”. Gli esperti propongono “di disciplinare le situazioni caratterizzate da urgenza e temporaneità” e, sempre per tutelare i rapporti familiari e genitoriali, di ampliare la possibilità di concedere permessi non solo per eventi familiari di particolare gravità, ma anche per momenti fondamentali della vita dei figli (battesimo, laurea, matrimonio, ecc.) o per far visita a familiari affetti da gravi patologie o infermi.
La maternità e il carcere. I bambini in carcere non ci dovrebbero stare. Ci sono norme che avrebbero dovuto porre un definitivo rimedio a questo problema, tuttavia in Italia sono detenute ancora 33 madri con 35 figli minori ristretti in carcere.
“Ciò è dovuto non solo alla mancanza di Icam e di case famiglia protette, ma anche alla riluttanza del magistrato competente di disporre per la detenzione domiciliare (ciò che riguarda anche le madri con figli fino a 10 anni) in assenza di un domicilio “sicuro”.Per questo il Tavolo ritiene “che sia obbligo delle istituzioni responsabili reperire tale domicilio: per esempio, comunità che già ospitano madri in difficoltà con i figli.
Non è del resto detto che i cosiddetti “campi nomadi” (la maternità in carcere riguarda ad oggi soprattutto donne Rom e Sinti) siano sempre da escludere quale domicilio”. “Alle gestanti e alle madri detenute deve essere assicurata la presenza di ginecologi e ostetrici. La Asl competente deve assicurare un corso di preparazione al parto per le gestanti. Al momento del parto in ospedale, dove la donna è accompagnata dalla polizia penitenziaria, dovrebbero poter assistere, con il consenso della madre detenuta, volontarie formate o specializzate, fornite in convenzione dalle Asl”.
Le attività. “Dovrebbero riguardare sia lo studio e la formazione che la ricreazione e lo sport. Il carcere potrebbe in questo modo supplire a mancanze che molte donne hanno sperimentato nella vita da libere. Le commissioni di detenute potrebbero raccogliere istanze, bisogni, proposte relative al reparto o “comunità” di appartenenza e potrebbero organizzare iniziative di vario genere in collaborazione con organizzazioni e associazioni esterne”.
Le detenute ristrette nelle carceri e nelle sezioni femminili, secondo i dati presi in esame dal Tavolo e forniti dal ministero al 31 dicembre 2014, sono 2.122 (oggi salite di 4 unità), meno del 5 per cento della popolazione detenuta, 1387 delle quali definitive.
Le straniere sono 789, la grande maggioranza delle quali provenienti dall’Europa dell’est, in particolare dall’ex Jugoslavia e dalla Romania (212). Mentre un numero consistente sono latino-americane.
I reati. Quasi il 50 per cento sono reati contro il patrimonio, seguono quelli sugli stupefacenti e i reati contro la persona. Le straniere sono detenute per reati contro il patrimonio (342), droga (254), contro la persona (249), prostituzione (81 sulle 91 ristrette). In particolare: il furto è il reato contro il patrimonio di gran lunga più frequente (438 su 1037); seguono la rapina (331) e l’estorsione (104).
41 bis. 53 donne sono detenute in massima sicurezza. 504 sono in carcere per violazione della legge sugli stupefacenti. Tra i reati contro la persona, prevalgono le lesioni volontarie (168), l’omicidio volontario (157) e la violenza privata (138).
Durata delle pene. Su 1387 definitive, 449 hanno pene che vanno da zero a 3 anni (ben 97 scontano pene da 0 a 1 anno), 364 da 3 a 5 anni; 390 scontano pene da 5 a 10 anni; 227 da 10 a 20; 42 oltre i 20; 21 sono ergastolane. 377 hanno pene residue sotto l’anno. Da una ricognizione fatta sul campione composto dalle detenute di Rebibbia, questa situazione appare in gran parte dovuta alla recidiva, ma anche alla difficoltà di reperire un domicilio ritenuto “sicuro”.
Le detenute madri. Sono 33 con 35 minori di 3 anni (salite oggi a quota 42 con 46 minori al seguito).
Autolesionismo. Gli atti registrati sono 362, i tentati suicidi 57, i decessi 1. Non si registrano evasioni o mancati rientri dai permessi.
Lavoro. 691 detenute lavorano per l’amministrazione penitenziaria, 191 per altro.
Caratteristiche sociali. Le classi di età più numerose sono quelle dai 30 ai 39 anni (595) e 40- 50 anni (654), dunque adulte. Ma ci sono anche 118 donne recluse dai 18 ai 24 anni, ben 361 dai 50 ai 60, e 141 dai 60 anni in su, 18 delle quali hanno oltre 70 anni. Coniugate (617) e conviventi (278) formano il gruppo più consistente (circa il 42 per cento), seguito dalle nubili (620, 29,22 per cento). Le altre sono vedove, divorziate e separate, ma per ben 233 (11 per cento) il dato non è stato rilevato
Istruzione. A fronte di un 30 per cento (632) di “non rilevato”, 215 (circa il 10 per cento) sono analfabete o prive di qualsiasi titolo di studio. Hanno la licenza elementare 349 (16, 45 per cento), la media inferiore 670 (31,57 per cento), il diploma di scuola professionale 22, il diploma di scuola media superiore 190 (9 per cento) e la laurea 44 (2,07 per cento).Dunque, si tratta di persone che hanno perlopiù un livello di istruzione basso o inesistente, una maggioranza delle quali sposata o convivente e giovane adulta o adulta.
Le carceri. Gli istituti penitenziari esclusivamente femminili sono 5 (Trani, Pozzuoli, Roma Rebibbia, Empoli, Venezia Giudecca), mentre 52 sono i reparti femminili all’interno di penitenziari maschili: che comporta una notevole dispersione sul territorio e aggrava la situazione di scarsità di risorse trattamentali da sempre denunciata per la detenzione femminile. La legge 62 del 21 aprile 2011 ha previsto la realizzazione di istituti a custodia attenuata (Icam) e di case famiglia protette per le madri detenute con bambini. Risultano operativi 3 Icam: Milano, Venezia Giudecca, Cagliari (ai quali si è aggiunto nel frattempo quello di Torino). Una casa famiglia protetta è in corso di istituzione a Roma. (Agenzia Redattore Sociale)