“Eat me”, le ragazze anoressiche si raccontano
ROMA – “Cosa mi risolve controllare il cibo se poi non ho le forze per migliorare la mia vita?”. Questa è la riflessione di una delle adolescenti che compaiono nel documentario “Eat me”, un reportage che racconta i disturbi del comportamento alimentare (DCA) con l’obiettivo di mostrare la malattia spogliandola dagli stereotipi.
Le telecamere dei due registi, Ruben Lagattolla e Filippo Biagianti, hanno seguito le ragazzeriprendendole mentre parlano con gli psicologi oppure a casa, con i genitori, a cucinare il pranzo. Lo spettatore entra così in contatto diretto con la loro quotidianità e una delle prime cose che si nota è come l’ossessione del cibo non sia legata a una questione fisica o alla volontà di raggiungere un modello estetico. “Prima di girare questo documentario avevo un’idea dei disturbi alimentari simile a quella della maggior parte della gente – spiega Lagattolla – pensavo che fossero ragazzine con il problema della linea. Questa invece è solo la punta dell’iceberg, sotto la quale si nasconde una verità differente, fatta di solitudine, senso di vuoto e della difficoltà di integrarsi nella società di oggi. Personalmente sono rimasto molto colpito dalla sensibilità di queste ragazze – continua – mi sono trovato di fronte delle giovani estremamente intelligenti, colte, con un grande amore per la vita ma che, a un certo punto del loro percorso, si sono trovate di fronte ad binario morto”.
I due registi hanno ripreso le ragazze mentre si trovavano in famiglia, a scuola, ma anche a Heta, centro multidisciplinare marchigiano per i disturbi alimentari. “È molto importante che si instaurino dei rapporti di fiducia tra i documentaristi e chi viene ripreso – spiega Biagianti – per evitare un prodotto troppo didascalico. Noi vorremmo creare un documentario che sia il più possibile onesto nei confronti delle persone che hanno deciso di partecipare. Si tratta di storie che non vengono trattate dai media mainstream, sono problematiche che ci sono e talvolta se ne parla, ma nonostante questo in pochi sanno cosa significa avere dei disturbi del comportamento alimentare o cosa voglia dire per una ragazza vivere l’anoressia”.
Nel documentario uno spazio molto importante viene dato ai genitori. Talvolta si pensa infatti che i ragazzi che soffrono di questi disturbi provengano da situazioni problematiche, ma non è sempre così. “Attraverso queste testimonianze si vede come questo mostro possa scoppiare anche in contesti normali e sereni – spiega Biagianti – perché, purtroppo, talvolta questi meccanismi possono essere innescati da un qualcosa che agli occhi di un genitore o di un adulto sembra una sciocchezza, ma che per una ragazzina di 14 anni è un’esperienza traumatica“.
Questo lavoro viene portato avanti sotto la supervisione di Giuliana Capannelli, presidente del Centro Heta e Psicoterapeuta del Centro “Oltre… a riveder le stelle”. «Noi abbiamo estremamente bisogno del lavoro e della disponibilità delle famiglie – racconta – anche i genitori infatti fanno un percorso parallelo ed è importante che si mettano a lavoro con noi per capire la logica del problema e reagire di conseguenza».
Uno degli aspetti che più colpiscono è quanto la malattia riesca a entrare nel corpo e nella mente delle ragazze. “Nel documentario una di esse racconta che se lei morisse il giorno dopo non vorrebbe essere ricordata per il suo disturbo, ma vorrebbe che la madre al funerale raccontasse che era una ragazza allegra, che amava la vita. – spiega Capannelli – Questo avviene perché il problema non viene mai percepito come qualcosa di esterno: loro non dicono ‘soffro di anoressia’, ma ‘sono anoressica’. Diventa quindi fondamentale anche elaborare un percorso che permetta alle ragazze di capire cosa possono essere al di fuori della mattia”.
Le riprese sono ancora in corso e a breve dovrebbe partire anche una raccolta fondi per sostenere il progetto. Questo lavoro, ancora in divenire, terminerà l’anno prossimo, con la presentazione del documentario il 15 marzo, giornata nazionale contro i DCA. “Il documentario vuole essere soprattutto un’opera di prevenzione. Vogliamo usare le immagini per parlare al cuore delle persone e alla loro sensibilità, per far comprendere meglio ciò di cui parliamo. – spiega Capannelli – L’idea è quella di far circolare questo lavoro nelle scuole superiori. Abbiamo infatti deciso di soffermarci sulle tematiche legate all’adolescenza, senza abbracciare tutto l’emisfero dei disturbi alimentari, che sarebbe stato più complesso”. (Redattore Sociale)