Ejaz Ahmad: “Dopo Parigi serve Islam europeo”
ROMA – Un “Islam italiano o anche europeo” potrebbe essere una “strada per combattere i radicalismi, ma anche un Islam che può aiutare il mondo islamico”. A due settimane dagli attentati a Parigi, dopo il clamore dei primi giorni, le denunce e le manifestazioni contro gli attacchi, non è solo il futuro dell’integrazione a interrogare Ejaz Ahmad giornalista musulmano pakistano, caporedattore del giornale in lingua urdu per pakistani in Italia Azad. C’è anche una questione “interna” all’Islam da affrontare: divisioni, l’ingerenza di alcune ambasciate sulla religione e il tema del fondamentalismo. In Italia dall’89, Ahmad abita a Roma. Come mediatore culturale ha lavorato in diverse scuole della capitale ed è membro della Consulta per l’Islam italiano, un organismo di carattere consultivo del ministero dell’Interno.
Sono stati gli attentati di gennaio, sempre a Parigi, ad aver cambiato le cose. Quelli del 13 novembre, però, hanno azzerato gli sforzi di chi da anni è impegnato sul fronte dell’integrazione. “Ogni giorno vado a lavorare in una scuola a Roma – racconta il giornalista -. Porto un messaggio e un pensiero plurale e interculturale, ma quando vedo questi attentati torna tutto indietro. Costruiamo il dialogo pezzetto per pezzetto e poi cade tutto. E bisogna ricominciare da capo”.
Per Ahmad, i fatti di Parigi hanno lasciato segni profondi. “Se votassimo oggi sui minareti, tutti sarebbero contrari. L’opinione pubblica ormai è già contro, ma molti di loro non conoscono l’Islam”. Per questo, spiega Ahmad, è tempo di premere l’acceleratore sull’integrazione. Un tema spinoso da affrontare in primo luogo nella variegata comunità musulmana presente in Italia e nel resto d’Europa. “Il grande problema dei musulmani è che nelle moschee e nelle madrasa viene riproposto l’Islam dei paesi d’origine – racconta -. I bengalesi parlano nella loro lingua e conoscono il corano che hanno imparato in Bangladesh. Non si fidano degli arabi e non vanno nelle loro moschee. Per gli arabi è lo stesso e così abbiamo moschee divise per nazionalità di provenienza”.
Un “passo verso l’integrazione”, quindi, può venire anche adottando la stessa lingua, racconta Ahmad. “In Italia siamo un milione e 600mila perciò adottare la lingua italiana potrebbe essere un grande strumento verso l’integrazione. Non nella preghiera, dove è obbligatorio l’arabo, ma nel sermone del venerdì e nei libri di testo per i ragazzi. Questo manca proprio. Non abbiamo materiale in lingua italiana. A Londra, ad esempio, il venerdì il discorso dell’imam è in inglese”.
Per Ahmad è ora che i musulmani italiani ed europei diano un segnale forte. “Penso che sia rimasto poco tempo – aggiunge il giornalista pakistano -. Ormai siamo tutti in guerra. In India, ad esempio, la comunità musulmana è in grosse difficoltà. Per questo bisogna lavorare sodo per far vedere che i musulmani possono vivere in occidente”. Per Ahmad, servirebbe una “federazione di musulmani in Italia e un Islam italiano, traducendo libri, trovando una sede che sia lontano dalle ambasciate, perché alcune fanno molta ingerenza”. Quello che serve, in sostanza, è un modello di Islam moderno, che oggi, a detta di Ahmad, non c’è più. “Facevamo sempre l’esempio dell’Islam turco perché immagine di un Islam forte e moderno. Oggi invece manca un punto di riferimento. L’unico paese che ha fatto le riforme e ha portato fuori il fondamentalismo è la Malesia, ma è lontana. Non ha contatti con il resto del mondo islamico”.
Un aiuto, in Italia, potrebbe arrivare anche dalle due Consulte create in seno alle istituzioni: la prima è la Consulta per l’Islam italiano creato al Viminale, poi c’è il Tavolo interreligioso per l’integrazione istituito dall’Unar. Iniziative entrambe col fiato corto, spiega Ahmad, perché non riescono ad alimentare un dibattito forte. “Il tavolo interreligioso è molto dispersivo – racconta -. Ci sono tante religioni e ognuno ha soli tre minuti per parlare. La consulta al ministero dell’Interno, invece, è ferma e non sta lavorando, anche se il ministro attuale ha cercato di riattivarla”. Un impegno che oggi è quanto mai necessario, spiega Ahmad, “musulmani religiosi e laici possono svolgere un ruolo importante contro radicalismi e fondamentalismi. Tuttavia, per allontanarli dall’Europa bisogna legittimare e illuminare anche le forze che esistono nel mondo islamico, non legate alle moschee: sono i cittadini normali, giornalisti, medici, mediatori interculturali. Servono i nostri intellettuali. Bisogna puntare su di loro”. (RS)