Firenze, detenuto suicida a Sollicciano
FIRENZE – Un detenuto italiano si è impiccato domenica nel carcere di Sollicciano. A dare la notizia il Sappe, il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria. L’uomo, nato a Maddaloni, in provincia di Caserta, 35 anni, fino allo scorso anno era ai domiciliari dalla sua ragazza, ma era rientrato in carcere dopo la fine del rapporto con la fidanzata.
“Una delle tante non-notizie dal mondo sommerso delle carceri italiane – è il commento di Massimo Lensi dei Radicali – Accade, infatti, che dopo il consumarsi della tragedia, sul carcere si accenda la lampadina dell’informazione per poi, passata l’emozione, ripiombare nel buio del disinteresse più totale. Si accende anche, per qualche secondo, l’indignazione, che a sua volta si scontra con le politiche di “securitate” chieste a gran voce dai populismi di turno. Restano fermi, invece tutti i cambiamenti veri di cui il sistema giustizia avrebbe bisogno a partire dalla detenzione. Il carcere non rieduca, non aiuta a reinserirsi, produce solo disperazione, solitudine e abbandono. Costa molto dal punto di vista economico e sociale e non abbassa i tassi di criminalità nel Paese. Non si impara nulla di utile, perché il carcere italiano è al più una ottima scuola del crimine”.
“Ogni tentativo di riforma – prosegue Lensi – o di modifica dell’esistente, trova sul suo cammino il muro di gomma della disinformazione, del disinteresse e delle paure. Il carcere in Italia è illegale, e noi radicali, insieme alle Corti europee, lo sosteniamo da tanti anni. E ogni volta che un detenuto si suicida, un pezzo dello Stato di Diritto muore con lui.
Ci appelliamo quindi ai garanti dei detenuti, regionale e comunale, perché facciano sentire più forte la loro voce a istituzioni e, soprattutto, ai cittadini, e alla nuova direttrice del carcere fiorentino di Sollicciano chiediamo di procedere con più decisione nel mettere in cantiere tutte le opere di risanamento della struttura penitenziaria, tanto attese dalla popolazione detenuta. Evitare un suicidio in carcere a volte ci vuole poco, è sufficiente considerare il detenuto una persona e non solo un numero di matricola”. (Agenzia Redattore Sociale)