Giustizia per Catia, in coma dopo parto cesareo
CROTONE – Dal 7 maggio 2014 è in un letto di ospedale. In coma. E non ha potuto vivere la gioia di abbracciare suo figlio subito dopo il parto come ogni mamma sogna. E’ stato proprio dopo aver messo alla luce il suo bambino all’Ospedale Pugliese Ciaccio di Catanzaro, che è iniziato il dramma. Qualcosa durante il parto cesareo non ha funzionato e Catia Viscomi, 41 anni di Soverato, è finita prima in rianimazione, poi in una camera della Casa di cura S.Anna di Crotone, centro di riferimento regionale per le gravi cerebrolesioni ad alta specialità riabilitativa.
I familiari della donna, stimata oncologa calabrese, hanno presentato un esposto. A indagare sulla vicenda è la Procura di Catanzaro, che nelle scorse settimane aveva chiesto l’archiviazione delle indagini. L’unica presunta responsabile dei danni causati alla donna, l’anestesista, è morta a febbraio e i magistrati avevano ritenuto di non dover approfondire la vicenda.
Una decisione che per Paolo Lagonia, marito di Catia, appariva inaccettabile, così assistito dall’avvocato Giuseppe Incardona, si è opposto. Il Gip del tribunale di Catanzaro, Giuseppe Perri, gli ha dato ragione e lunedì 11 gennaio ha accolto l’opposizione. Dunque, le indagini dovranno andare avanti e i magistrati del capoluogo calabrese avranno altri sei mesi di tempo per individuare eventuali responsabilità, errori, omissioni.
Il racconto di quanto avvenne quella notte in sala operatoria ha davvero dell’incredibile. Il pomeriggio del 6 maggio 2014, Catia entra in ospedale, inizia il travaglio e tutto sembra procedere nella norma. Intorno alle 23.30, i medici notano che il bambino non è correttamente posizionato nel canale del parto e decidono di intervenire con un taglio cesareo. A Catia viene praticata l’anestesia generale. Tutto sembra andare bene, il bambino nasce ed è sanissimo. A star male, invece è proprio lei. Il respiratore automatico non è in funzione e la stessa anestesista si sarebbe allontanata. Quando i medici si accorgono della gravità della situazione è ormai troppo tardi. Al suo cervello non arriva più ossigeno. Diventa cianotica e va in ipossia. A nulla servono i tentativi di rianimarla. Catia entra in coma.
Secondo quanto ricostruito dai magistrati, tutti i testimoni sarebbero concordi nell’indicare l’anestesista come unica responsabile di quanto avvenuto la notte tra il 6 e il 7 maggio 2014 in quella sala operatoria, dove erano comunque presenti altre quattro persone. Grazie alla decisione del Gip di Catanzaro, gli inquirenti avranno modo di approfondire l’accaduto, cercando di chiarire “cosa effettivamente sia successo – spiega l’avvocato Incardona – escludendo sin da subito, in coerenza con le linee guida indicate dal difensore delle parti offese, che la responsabilità dell’evento che ha condotto in coma la D.ssa Viscomi possa essere riconducibile unicamente alla condotta dell’anestesista mentre potrebbe essere riconducibile anche all’intera equipe medica”.
Sarebbe, ad esempio, anche utile capire come mai l’anestesista continuasse a esercitare nonostante “versava in condizioni di salute ed equilibrio incompatibili all’attività di sala operatoria” fa sapere il legale. Per questo “occorrerà stabilire eventuali responsabilità di chi aveva l’obbligo di sollevare dall’incarico” il medico “precisando che compito del datore di lavoro è anche quello di controllare la permanenza e sussistenza dei requisiti di idoneità del personale sanitario, specie se di sala operatoria”.
Nell’attesa che le indagini facciano il loro corso, Incardona fa sapere, inoltre, che “sul piano civilistico e risarcitorio, l’ospedale – difettando una palesata valida copertura assicurativa – è stato già citato innanzi il Tribunale Civile di Catanzaro per rispondere di un danno patrimoniale e non patrimoniale di oltre 11 milioni di euro mentre sotto il profilo della responsabilità erariale, verrà interessata la Procura della Corte dei Conti per eventuali sequestri e rivalse nei confronti dei corresponsabili dell’evento”.
Incomprensibile appare, infine, il silenzio del Ministero della Salute, che non ha ancora palesato “il proprio interesse alla nebulosa e triste vicenda”.
Una storia che ha suscitato, fin da subito, sconcerto e indignazione, scatenando allo stesso tempo un’ondata di solidarietà nei confronti della famiglia. Gli abitanti di Soverato, cittadina della costa jonica calabrese dove Catia ha sempre vissuto, hanno fatto sentire la loro vicinanza. Tutti chiedono giustizia. E la decisione del Gip fa sperare, apre uno spiraglio verso la verità. Quella che Paolo e i familiari di Catia attendono da 18 mesi. E che sperano di poter raccontare anche a lei. Al suo risveglio.
Francesca Caiazzo