Guerra in Ucraina, Ascanio Celestini: “Sto con i poveracci costretti a combattere”
«Rispetto a questo compatto schieramento, che è un po’ una novità, e che potremmo definire interventista, ma che non è proprio così, non ho voglia di essere offensivo. Diciamo che questa volontà diffusa, parteggiante, totalmente schiacciata sulle posizioni dell’Ucraina, ecco, la trovo imbarazzante. Non credevo che nel 2022 ci fosse chi pensa che le persone che combattono fisicamente le guerre fossero completamente identiche a quelli che li mandano a combattere. Pensavo fosse un dato di fatto che i soldati non c’entrassero niente, che nel migliore dei casi sono stati indottrinati, quasi sempre costretti o perché poveri. Pasolini nel ’68 lo scrive agli studenti: siamo tutti contro l’istituzione della polizia. Pasolini non parteggia per la polizia e ricorda a questi ragazzi che gli altri ragazzi di fronte a loro sono dei poveracci, dei disgraziati».
Lo dice Ascanio Celestini, attore e drammaturgo, in un’intervista pubblicata su FQ Millennium, il mensile diretto da Peter Gomez, in edicola sabato 9 aprile. Una posizione “neneista” la sua? «Questo “né…né”, la prima volta che l’ho sentito, pensavo fosse una citazione di Eugenio Montale. “Solo questo possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Io sto dalla parte dei poveracci che sono costretti a fare la guerra che non vorrebbero».
Celestini è in scena con un nuovo spettacolo, Museo Pasolini. E ne approfitta per fare i conti con il nostro torbido passato. «Sappiamo con certezza che in Italia si sono organizzati due golpe: nel ’64 e nel ’70. Negli anni attraverso diverse inchieste è stata elaborata una teoria secondo la quale non si è trattato di golpe ma di “intentona”. Il colpo di Stato va portato a termine. L’intento è invece un po’ il tintinnar di sciabole: dichiari che hai intenzioni chiare, dimostri che è possibile ma non lo porti a termine. Quando al mio personaggio faccio dire “Perché devo chiedere a voi soldati di darmi il potere che già ce l’ho”? praticamente è una dichiarazione di Andreotti, quello che telefonò, o si dice che qualcuno lo fece per lui, al golpista Borghese per bloccare il colpo di Stato del ’70. Bisognava far sentire che un potere parzialmente occulto in qualsiasi momento poteva emergere e cambiare le carte in tavola. Non portarlo fino alla fine era una dichiarazione di forza. Un po’ come quando il mafioso parla sottovoce, a cannavazzu, perché non ha bisogno di urlare».