Il libro double-face che aiuta a costruire un centro diurno per disabili
TORINO – Nessuno avrebbe scommesso sulla storia d’amore tra Marisa Bettassa e Giancarlo Ferrari, due giovani disabili che negli anni Settanta si innamorano e decidono di sposarsi. Eppure, dopo 40 anni di matrimonio, sono ancora insieme, vivono a Torino e hanno raccontato la loro vita in un doppio libro “Agli estremi dell’arcobaleno” e “Storia di un filo d’erba”. Le loro autobiografie ripercorrono gli ostacoli ma anche i successi di chi nonostante tutto è riuscito ad arrivare al traguardo: “In ritardo, forse più affaticati degli altri, ma ce l’abbiamo fatta”, racconta Giancarlo. Il ricavato sarà devoluto all’associazione “Volare alto” per realizzare un centro diurno e due appartamenti che accoglieranno a Torino persone con disabilità rimaste sole dopo la morte dei loro genitori.
Le vite di Marisa e Giancarlo si incrociano quasi per caso, unite dall’amore per la psicologia e dalla volontà di aiutare gli altri più che di ricevere aiuto. Marisa, al momento della nascita, ha una forte carenza di ossigeno al cervello. La conseguenza è una grave forma di tetraparesi spastica che le impedisce qualsiasi movimento del corpo. «Da bambina pensavano che fossi deficiente perché non riuscivo a parlare bene. Poi mio padre, che era un operaio, si è accorto che capivo e mi ha insegnato a leggere e a contare. Non sono potuta andare a scuola perché la legge non lo permetteva, ma ho comunque imparato tante cose», racconta. Non sono mancati, però, i momenti di sconforto: «Non riuscivo a capire perché ero venuta al mondo e per quale motivo proprio in quelle condizioni. Finché un giorno ho avuto una crisi e ho creduto che non valesse la pena vivere così. Volevo morire perché non trovavo una motivazione alla mia esistenza. Fu un pensiero molto lineare a salvarmi dalla disperazione: se anche un filo d’erba è utile perché costituisce il primo anello della catena alimentare, anche io potevo esserlo», dice Marisa. “Ho capito che potevo amare qualcuno alla pari degli altri, che potevo essere d’esempio nel mio modo di affrontare la vita. Ed ecco che mi sono messa ad attendere: ho aspettato di comprendere quale era il disegno che dovevo seguire perché in quel momento non riuscivo a vedere dove stavo andando. È passato del tempo e sono riuscita a laurearmi in psicologia, ho conosciuto l’uomo della mia vita e ho conquistato tutto quello che desideravo. Ora posso dire di avere avuto un’esistenza quasi sempre stupenda».
L’incontro con Giancarlo, anche lui nato asfittico ma con una disabilità meno grave, ha cambiato la vita di entrambi. “Come tutte le cose serie, la nostra storia iniziò per scherzo. Io gli dicevo: “Sono troppo handicappata, come fai a volermi bene?”. Mi rispondeva che ero stupida a parlare così, che l’amore vero può e deve andare oltre le apparenze», ricorda. I genitori di Giancarlo erano, però, contrari al matrimonio: per loro era inconcepibile che due persone bisognose di aiuto decidessero di vivere insieme. Ma, nonostante tutto, Marisa e Giancarlo sono andati dritti per la loro strada: «In tutti questi anni di vita in comune non ci è mai mancato qualcuno che ci desse una mano». A unirli c’è anche la passione per la psicologia. Giancarlo è diventato psicoterapeuta e ha dedicato tutta la sua vita ai tossicodipendenti nella struttura di accoglienza della Comunità papa Giovanni XXIII di Rimini. “Inserirmi nel loro mondo è stato affascinante e allo stesso tempo terribile. Entrarci significa rivoluzionare il proprio concetto di vita e trovarsi in una mentalità che non ha punti fermi”, sintetizza nel suo libro. “Partivo fortemente penalizzato in riferimento alla mia condizione fisica, ma volevo tentare ugualmente perché ero convinto che la mia persona potesse spogliare il tossicodipendente di alcune certezze fondamentali circa l’uomo e i suoi bisogni primari. Ho trascorso la mia esistenza a incontrare i giovani e le loro famiglie, ad ascoltare le loro storie piene di angoscia».
Tra i tanti ragazzi seguiti da Giancarlo, c’era anche Roberta. “Era sconcertata di avere un operatore handicappato, credevo che avrebbe subito interrotto la terapia; invece non è stato così. Sono riuscito a darle un po’ di coraggio perché anche io avevo vissuto tante difficoltà nella mia gioventù, la sofferenza ci univa. Dopo un paio di mesi si ammalò di Aids ma, nonostante questo, ha saputo recuperare quella gioia di vivere che prima non aveva”. “Ho cercato di dare il massimo con tutti i miei pazienti: alcune volte ci sono riuscito, altre no, ma ho imparato che quello che oggi sembra una meta irraggiungibile, domani può essere una piacevole realtà”. Ed è stato proprio questo il segreto del loro successo e della loro felicità: riuscire a donarsi agli altri, dimenticandosi dei loro problemi: “Tante persone sane nel fisico sono prive di voglia di vivere in quanto credono che per essere realizzati sia necessario raggiungere grandi mete. Noi abbiamo trovato negli altri l’appiglio per andare avanti, per fare delle nostre vite qualcosa di meraviglioso”, conclude Marisa. (Redattore Sociale)