Imparare a leggere e scrivere a 43 anni: la nuova vita di Giulia al centro Arcobaleno
PALERMO – Gli occhi di Giulia sono espressivi e dicono già tutto. La sua vita a 43 anni sta letteralmente cambiando da quando ha imparato a leggere e scrivere al Centro Arcobaleno di Palermo dove sta finendo di scontare la sua ultima parte di pena. “Imparare dopo tanti anni l’alfabeto e i numeri – racconta – è stato emozionante perché mi si è aperto un mondo. Il mio grande desiderio adesso è quello di stare insieme alla mia famiglia e a mio marito che ho perdonato”.
Giulia proviene da una famiglia semplice con papà camionista e mamma casalinga e ha abitato sempre in un quartiere popolare della città. Fin da piccola, essendo la terza di cinque figli, non voleva studiare. La madre ha tentato di farla impegnare mandandola perfino in un collegio di suore a 8 anni da cui è scappata più volte. “Non mi passava neanche minimamente per la testa quanto fosse importante studiare, una cosa che ho capito solo dopo sulla mia pelle”. Giulia, infatti, cresce in fretta e a soli 16 anni decide di fare la scappatella (fuiutina in dialetto siciliano) con quello che poi diventerà suo marito. Dopo un anno ha il primo figlio e poi altri due figli. I suoi tre figli, diversamente da lei, hanno studiato tutti fino alla terza media. Oggi è pure nonna di quattro nipoti. “Essere analfabeta significava avere sempre bisogno degli altri in tutto quello che facevi – dice -. Questo mi faceva arrabbiare ma lo stesso non volevo imparare”.
Nel 2010 succede ciò che non doveva avvenire. La famiglia inizia ad attraversare un momento difficile: il marito perde il lavoro come raccoglitore di ferro presso una ditta facendo precipitare la situazione economica. Così, avendo anche un affitto di 400 euro da pagare, il marito tenta altre strade e inizia ad avere problemi con la giustizia. Un giorno viene arrestato insieme a Giulia, ignara di quello che il marito aveva fatto. Al compagno danno 5 anni di carcere che sconta all’Ucciardone. Lei, invece, viene accusata di essere complice del reato e finisce al Pagliarelli. “Sono stata in carcere, per una cosa che non ho fatto, 4 mesi e mezzo dopo i quali mi hanno scarcerato permettendomi di scontare una parte della pena al centro Arcobaleno. Al centro mi do da fare, faccio volontariato in varie forme ma soprattutto il pomeriggio studio per sostenere a giugno da esterna gli esami di quinta elementare. Se sono stata coinvolta senza capirlo in questi problemi è stato anche perché la mia forte ignoranza non mi faceva capire cosa realmente stava succedendo”.
L’esperienza in carcere di Giulia è stata molto brutta. “Per una donna entrare in carcere è una situazione tremenda soprattutto quando ci sono dei figli che lasci a casa che soffrono – dice -. Non sono mancati i momenti di scoraggiamento e tristezza in un luogo squallido dove ci si sente soli perché di amicizie se ne fanno molto poche. Ho visto tante persone che stanno male anche quelle più anziane che dovrebbero uscire fuori. In carcere, non è facile perché ci sono gli scaltri, i buoni e chi si fa i fatti suoi. Ci sono entrata ad agosto – racconta – e ho vissuto in una piccola cella con i letti a castello insieme ad altre 7 donne che nel tempo sono cambiate tante volte. La convivenza è stata difficile ma poi mi sono abituata e adattata anche se i litigi non sono mancati. Essere analfabeta mi creava una condizione di dipendenza dagli altri che potevano anche non essere sempre sinceri con me”.
Le condizioni delle celle molto anguste per ospitare 7 persone non sono certo favorevoli alla convivenza soprattutto nei mesi più caldi e più freddi. Giulia ricorda, infatti, che in carcere non avevano acqua calda nelle celle e che la doccia anche nei mesi più caldi poteva essere fatta fuori dalla cella due volte alla settimana. “Nelle giornate di troppo caldo – racconta – ci buttavamo addosso delle bacinelle di acqua che poi raccoglievamo da terra“.
“Oggi ho capito che nelle cose bisogna impegnarsi – mi dice in dialetto palermitano – Se prima non avevo testa adesso voglio andare avanti per il bene mio e della mia famiglia. Riuscire a leggere una rivista oppure a mandare un messaggio al telefonino mi fa sentire libera. Studiare mi rende più sicura, mi porta a pensare di più. Andrò avanti fino alla terza media. Potrei anche in futuro avere un lavoro anche se il mio desiderio è quello di rimanere volontaria al centro”.
“Le donne dei quartieri popolari più difficili, purtroppo molto spesso non vanno a scuola – dice l’assistente sociale missionaria del centro suor Anna Alonzo -. Nel caso di Giulia ho chiesto al giudice di prenderla in affidamento non solo per le pulizie del centro ma soprattutto per insegnarle a leggere e scrivere. In soli tre mesi è riuscita ad imparare ed a poco a poco sta diventando un’altra persona“. (Redattore Sociale)