In coma dopo cesareo, un familiare di Catia Viscomi: “Grido il mio dolore e il diritto alla verità”
CROTONE – La notte tra il 6 e il 7 maggio del 2014, Caterina Viscomi, 41 anni di Soverato, dà alla luce il suo primo, desiderato figlio all’Ospedale Pugliese Ciaccio di Catanzaro. Subisce un taglio cesareo ma in sala operatoria qualcosa va storto. La donna entra in coma e da allora non si è mai più ripresa. Da due anni vive sdraiata in un letto dell’Istituto S. Anna di Crotone.
I familiari sporgono denuncia, la magistratura indaga. Viene chiesta l’archiviazione ma la famiglia si oppone e l’inchiesta deve andare avanti. Della vicenda, dopo un anno a mezzo, si interessa anche il Ministero della Salute chiedendo una relazione dettagliata alla Regione Calabria. Il caso di Catia approda in Parlamento. Su sollecitazione del marito, Paolo Lagonia, vengono presentate due interrogazioni parlamentari indirizzate al ministro Lorenzin: la prima a risposta scritta a firma di Dalila Nesci e Andrea Coletti del Movimento Cinque Stelle, la seconda a risposta orale dalla deputata leghista Barbara Saltamartini.
Oggi, 7 maggio 2016, è anche il secondo compleanno di un bambino che non ha mai potuto essere abbracciato dalla propria madre. Ed è a lui, forse più di tutti, che si deve una spiegazione. A lui, più di tutti, si deve giustizia. E verità.
Di seguito, una lettera aperta scritta in occasione di questo triste anniversario, da un familiare di Catia, l’avvocato Maria Teresa Vaccaro. Un appello accorato che non può restare inascoltato.
“Il mio Paese ha una grande opportunità, ha l’opportunità di dimostrare che chi sbaglia deve essere punito. E se chi sbaglia con il suo errore strappa alla vita una madre negandole il sorriso del proprio figlio, noi madri e padri, noi cittadini abbiamo diritto di sapere. Di sapere se un dirigente medico ha saputo dirigere e non solo prendendo lo stipendio o dando ordini ma anche e solo vigilando sulla tutela della salute dei pazienti. E di sapere se chi si prende cura del paziente ha cognizione e consapevolezza che con un solo suo gesto o disattenzione una vita può anche finire.
Vedi, Tu magistrato che devi indagare, sì tu proprio tu, mentre guardi le carte dove è scritta e segnata la storia di una notte in cui una madre stava per diventarlo, ti invito a pensare a tuo figlio e a quanto potresti essere stato sfortunato se tua moglie fosse stata anestetizzata ed assistita da un medico che il medico non era in grado di farlo e da tanti ed altrettanti medici che pur sapendolo lo hanno taciuto.
Prova a pensare a tuo figlio e a quello che sino ad oggi potrebbe non aver mai avuto, l’abbraccio e il calore della madre, il suo sorriso, il suo affetto, la sua presenza al primo bagnetto, al primo dentino, al primo giorno di scuola o alla confidenza del primo bacio, al suo sorriso all’altare e alla sua lacrima ad essere a sua volta padre.
Tutto questo Caterina Viscomi non lo può vedere e forse non lo vedrà mai perché in una notte maledetta dopo aver dato alla luce la sua dolce creatura, chi si stava o doveva prendere cura di lei non lo ha fatto e chi doveva vigilare che questo non accadesse lo ha permesso, così legittimandolo, legittimando e essendo lui stesso causa di un’inaccettabile tragedia.
Io vorrei che il mio Paese che si dice civile cercasse per primo di fare chiarezza e dare giustizia. Stanotte, dopo due anni da quella maledetta notte, grido il mio dolore e il diritto di una famiglia intera alla verità. Quella verità che dà fastidio, che continua a puzzare tra i corridoi di un ospedale, quella verità che ti strappa alla vita se non la hai, quella verità che tutti chiediamo da un Paese Civile, sempre che civile si possa ancora definire”.