InZir, il circo nelle periferie del mondo
BOLOGNA – “Vogliamo portare spettacoli, parate e laboratori in quelle zone del mondo dove la vita si complica a causa di povertà, guerre e sfruttamento. In quei Paesi raggiungiamo le zone più remote, meno urbanizzate. Quelle dove nessuno penserebbe di assistere a uno spettacolo circense o di cabaret”: Nicolò Ximenes è uno degli artisti del collettivo Circo InZir, progetto di circo sociale nato in territorio bolognese nel 2011 dalla volontà di un gruppo di ragazzi di varia formazione e provenienza. Con loro è andato, nel febbraio 2012, nei campi profughi Saharawi e nel 2014 in Guatemala, nella regione boschiva del Peten, patria della cultura Maya. E tra poche settimane, è pronta a partire la terza ‘carovana’, questa volta in direzione Etiopia.
Circo InZir (che in emiliano significa ‘in giro’) unisce una decina di artisti tra i 23 e i 35 anni: giocolieri, clown, funamboli insieme per raggiungere luoghi fuori dai radar dell’informazione globale. Le destinazioni sono scelte in base ai contatti, alle richieste che arrivano – con la collaborazione di ong e associazioni locali – e all’accessibilità. Ogni ‘tour’ dura circa un mese, ma la flessibilità è alla base di tutto. “C’è chi sceglie di rientrare prima e chi preferisce restare più a lungo. Ogni volta che partiamo ci fissiamo 5/6 tappe – scuole, villaggi – e poi stiamo a vedere che succede. Per esempio, quando siamo stati in Algeria abbiamo fatto passare tutti i campi profughi. Poi si sparse la voce, e abbiamo avuto la possibilità di esibirci anche ad Algeri, tramite il ministro della Cultura algerino, e nella città di El-Kseur, tramite un’associazione culturale”.
La filosofia di Circo InZir è non tornare mai negli stessi posti, non creare continuità, spezzare la propria esperienza con obiettivi sempre nuovi. “Non sarebbe nemmeno facile ripeterci: i problemi legati alla sicurezza comunque ce lo impedirebbero. Perché, com’è naturale, la sicurezza di tutti – artisti e pubblico – è al primo posto, e non vogliamo rischiare oltre il necessario”. Anche il collettivo è chiamato a rinnovarsi: “Al momento siamo tutti italiani di città diverse, ma abbiamo avuto anche artisti stranieri e presto ne arriveranno altri. Rigenerarsi è fondamentale”.
L’intero progetto è autofinanziato tramite cabaret e spettacoli a offerta libera che il collettivo porta in giro per l’Italia, promossi e fatti dagli stessi artisti (“Ci finanziamo con quello che riusciamo a raccogliere nel cappello. Qualche volta possiamo anche chiedere un cachet”). Ma per l’organizzazione della carovana in Etiopia è partita anche una campagna di crowdfunding su Produzioni dal Basso. Si può donare da 10 euro in su, e in base alla donazione è prevista una ricompensa (dalle cartoline d’autore alle magliette, passando per veri e propri spettacoli del Circo). “Il mondo non sa cosa succede nei posti che visitiamo – racconta un artista del video promozionale –: quando siamo stati ad Algeri abbiamo scoperto l’esistenza del muro tra il Marocco e l’Algeria. In Occidente nessuno ne parla: se non fossimo andati là non ne avremmo saputo nulla. È per questo che poi vogliamo raccontare a tutti i nostri viaggi: facciamo molto affidamento sul passaparola, e speriamo che sempre più persone siano informate”.
Il circo di strada come punto di contatto con altre culture, pronto a essere contaminato e ad adeguarsi alle situazioni e ai contesti. Essere in posti stranieri, lontani, e fare quello che si sa fare meglio. Immergersi nella realtà e giocare. “La dimensione del gioco è imprescindibile: ed è meraviglioso come il nostro sia veramente un linguaggio universale, adatto a parlare a tutte le culture, anche quelle apparentemente più diverse. Questa disciplina artistica, per le sue caratteristiche e per la sua fruibilità, è uno degli strumenti migliori per creare rapporti sociali e diminuire le distanze”.(Redattore Sociale)