Jonny, don Scordio scrive a Sansonetti: “In carcere costretto a tortura psicologica e fisica”
“Caro Sansonetti, chi le scrive, e spero di non dispiacerla, è un sacerdote assurto alle cronache nei mesi scorsi, arrestato e condotto in custodia cautelare da 4 mesi nella Casa circondariale di massima sicurezza di Vibo Valentia”.
Inizia così la lettera che don Edoardo Scordio ha scritto al direttore de Il Dubbio, Piero Sansonetti, dal carcere di Vibo Valentia dove si trova detenuto dal maggio scorso quando è stato arrestato nell’ambito dell’operazione antimafia Jonny, che ha disvelato presunti interessi della Ndrangheta nella gestione del centro di prima accoglienza per richiedenti asilo di Isola di Capo Rizzuto.
Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che ha coordinato l’inchiesta, gran parte dei fondi destinati all’accoglienza dei migranti sarebbero stati invece dirottati nelle casse della cosca Arena.
Nell’inchiesta sono state arrestate 67 persone, tra le quali il governatore della Misericordia di Isola di Capo Rizzuto, Leonardo Sacco, che da anni gestiva la struttura, e il parroco del paese, don Edoardo Scordio. Entrambi sono accusati, tra l’altro, di associazione mafiosa.
Il sacerdote si rivolge a Sansonetti dicendo di aver apprezzato un suo intervento televisivo sul caso Mastella e aggiunge: “Concordo pienamente sulla pericolosa e dannosa ingerenza della magistratura nel mondo politico determinandone spesso la sorte. Sul connubio tra magistratura e mass media, sullo strapotere nell’uso delle intercettazioni e dei “pentiti” o “collaboratori di giustizia”.”
“Le scrivo – prosegue don Scordio – non solo perché sono vittima di questi metodi ma soprattutto perché ne subiscono le conseguenze disastrose innumerevoli persone e le loro famiglie; una realtà che in questo luogo sto conoscendo molto da vicino e che mi era del tutto ignota sia per la gravità delle conseguenze sia per il numero delle “vittime”. Ho pubblicato un libro: “Non lasciatevi travolgere” ( 2014).
L’ex parroco di Isola di Capo Rizzuto poi delle inchieste giornalistiche che già prima dell’inchiesta giudiziaria avevano acceso i riflettori sulla gestione del Cara e si dice oggetto di “una gogna mediatica incredibile, assurda” diventando “l’eccellente trofeo da esibire ovunque ( conferenze, interviste, talk show) a consacrazione del successo “investigativo” anche se fondato su “indizi provvisori” “sentito dire”, teorema “logico sebbene astratto”, “ruolo oscuro”.”
La lettera prosegue con la descrizione delle condizioni carcerie: “Non voglio entrare nel merito ma non posso tacere quanto sto subendo ( e con chissà quanti altri). Sono in custodia cautelare da 4 mesi in via preventiva ma con trattamento altamente punitivo pari a quello di plurincondannati, ergastolani e detenuti con pene definitive. Pur essendo innocente fino a eventuale condanna, sono considerato colpevole da stampa, da giudici, da personale carcerario. Costretto a tortura psicologica e fisica, in gabbia per quasi 24 ore, nello spazio di pochi metri, insieme ad altri due detenuti, sdraiato o seduto su un lettuccio, senza alcuna occupazione o programma in qualche modo “rieducativo”, spogliato di tutto, anche della mia funzione sacerdotale pur non essendo sospeso “a divinis” ma solamente da parroco”.
Quello di don Scordio è un vero e proprio sfogo: “Non si è voluto tenere conto della mia età ( 70 anni e nove mesi), della mia salute perché il 416 bis permette un totale arbitrio sulla persona fino a relegarla in una struttura come questa che mi hanno fatto toccare con mano ciò che è un lager; quando il 416 bis, nato solo “per emergenza”, è una porta aperta, anzi spalancata alla dittatura. Qualcuno -si legge nella lettera – che ben conosce questa realtà mi ha mandato a dire che ormai in Italia il carcere duro e senza appello per “associazione mafiosa” sta dietro le spalle di ognuno, di tutti. Da un momento all’altro puoi essere marchiato per sempre anche solo per un saluto, un incontro casuale, un “sentito dire”, un pettegolezzo intercettato, la fantasia di un “pentito” interessato a sconti di pena e benefici economici”.
“Sono veramente sgomento e impotente – scrive infine il sacerdote – anche per il plagio evidente operato sulla gente da queste “operazioni” eclatanti, dal tam tam rumoroso, continuo, del tutto estraneo al rispetto dei diritti della persona, dei mezzi di comunicazione”.
Perché questa lettera? “Spero solo di trovare almeno un po’ di ascolto” conclude don Scordio.