Kenya, parla una sopravvissuta di Garissa: “Mi finsi morta”
ROMA – “Ho sentito la porta aprirsi, e una pioggia di proiettili ci e’ arrivata addosso. Dopo, nella sala è piombato il silenzio: la maggior parte dei miei compagni era stata uccisa”. Questa la drammatica testimonianza di una dei sopravvissuti della strage all’università di Garissa, ad aprile 2015, resa ieri durante il processo ai 5 presunti colpevoli.
Quel giorno di aprile, un commando di uomini armati del gruppo terrorista Al-Shebaab ha fatto irruzione nell’ateneo e aperto il fuoco contro inermi studenti: ne moriranno 142, assieme ad altri sei membri dello staff. Si tratta del bilancio più grave nella storia degli attentati in Kenya.
Il racconto della studentessa Evelyn Chepkemoi davanti ai magistrati – ripreso dalla testata The Standard – prosegue: colpita a una mano e una gamba, si finse morta per sfuggire alla carneficina. Cinque ore sdraiata a terra immobile in mezzo ai cadaveri dei suoi coetanei, fino all’intervento delle forze di sicurezza.
Rispa Nyang al momento dell’assalto si trovava in una sala per la preghiera con altri 30 studenti cristiani. A un tratto entrò “un uomo alto, armato di fucile” e il volto coperto, e lanciò un esplosivo in mezzo al gruppo: “Ho sentito l’esplosione e poi ho visto delle scintille, poi l’uomo è rientrato e ha cominciato a spararci addosso”.
Come spiegano i media africani, si è aperto ieri il processo contro Mohamed Ali Abdikar, Hassan Aden Hassan, Sahal Diriye, Osman Abdi e Rashid Charles: contro di loro pendono ben 162 capi di imputazione. Ma si sono sempre proclamati innocenti. Un’udienza preliminare si è tenuta a novembre, ma solo da ieri i magistrati hanno cominciato ad ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti alla strage, che saranno in tutto, secondo i quotidiani kenioti, circa 30.
L’università di Garissa ha riaperto le sue attività proprio lunedì scorso: gran parte degli insegnanti e degli studenti hanno accolto l’appello lanciato dal rettore Ahmed Osman Warfa, che ai media ha detto:“Avrei voluto avere un’arma quella notte e saperla usare, così avrei lottato contro gli aggressori e almeno avrei cercato di salvare qualcuno dei miei studenti”. (DIRE)