La mafiosità non si presta alla rieducazione. Ecco perché Riina è ancora un pericolo pubblico.
(di Tommaso Passarelli*) È destinata a far discutere l’ordinanza n° 27766 della suprema Corte di Cassazione, che sancisce il diritto del detenuto Salvatore Riina a una morte dignitosa. L’ordinanza è in sé ben fatta, esprime principi alti e diritti fondamentali. Analizza il quadro clinico del detenuto con grandi sensibilità e perizia. Enuncia il sopravvenire di eventi infausti, se mai il regime carcerario dovesse protrarsi. Sarebbe una bella pagina di letteratura giuridica, se solo non fossimo in Italia e non dovremmo confrontarci col problema mafia.
Un problema che non ha una dimensione costituzionale: l’illuminato legislatore costituente del ’46-’47 non ha tenuto conto della rilevanza del problema per ovvie ragioni storiche. È fin troppo noto quanto il problema-mafia sia stato sottovalutato nel corso di quasi tutto il novecento. La difesa di territori e cittadini dalle violenze delle mafie rimane però un bene giuridico di primo livello, che non ammette deroghe di sorta e non può prestare il fianco a cavilli burocratici, giuridici ed intellettuali.
Penso all’art. 27, comma 3 della Costituzione (le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato), uno dei portati giuridici più profondi della storia, che tuttavia non può trovare applicazione al problema-mafia.
La mafiosità non si presta a rieducazione, al contrario il regime carcerario è visto come un passaggio necessario per chiunque aspiri ad intraprendere la carriera criminale nel sodalizio mafioso. La resistenza al carcere ( in particolare al regime di carcere duro, ex art. 41-bis Ord. penitenziario) arriva addirittura ad infirmare il ruolo del mafioso, la sua caratura criminale e di conseguenza la sua posizione all’interno del sodalizio criminale.
Non risulta pertanto possibile una rivalutazione verso il basso della caratura criminale del Riina, che seppur vecchio e malato, non ha dato segno alcuno di redenzione. Al contrario, ha sempre resistito al regime carcerario, mantenendo la leadership del sodalizio criminale conosciuto come “Cosa nostra”. Per queste ragioni Riina è ancora socialmente pericoloso.
*studente di Giurisprudenza all’Università Magna Grecia di Catanzaro