ROMA – Nel 2014 e ancor più nei primi mesi del 2015 la situazione economica registra una serie di segnali positivi che dalle regioni del Nord si diffondono al resto del Paese, riflettendosi sulla condizione delle famiglie, a partire da quelle più agiate fino a quelle condizionate da maggiori vincoli di bilancio. E’ quanto emerge dalla terza edizione del “Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (Bes 2015)”, presentato dall’Istat.
Aumentano il reddito disponibile (dello 0,7% nel 2013 e dello 0,1% nel 2014) e il potere d’acquisto; cresce la spesa per consumi finali, anche se in misura più limitata in conseguenza del lieve aumento della propensione al risparmio. Sempre meno famiglie mettono in atto strategie per il contenimento della spesa mentre è più elevata la quota di quelle che tornano a percepire come adeguate le proprie risorse economiche. Il rischio di povertà e soprattutto la povertà assoluta hanno smesso di aumentare (dal 4,4% del 2011 sale al 7,3% nel 2013, per riscendere al 6,8% nel 2014); mentre la grave deprivazione diminuisce per il secondo anno consecutivo, attestandosi sui livelli del 2011 (11,6% le persone in famiglie con grave deprivazione).
In leggero miglioramento anche gli indicatori di natura soggettiva: la percentuale di persone in famiglie che arrivano a fine mese con grande difficoltà torna a scendere (17,9%) dopo aver raggiunto il valore massimo del decennio proprio nel 2013 (18,8%).
L’unico indicatore in controtendenza è la quota di individui che vivono in famiglie a intensità lavorativa molto bassa, cioè le famiglie dove le persone tra i 18 e i 59 anni (esclusi gli studenti 18-24enni) hanno lavorato per meno del 20% del loro potenziale nell’anno precedente; dopo la diminuzione tra il 2004 e il 2007, l’aumento iniziato nel 2010 si protrae fino al 2014 (12,1%). Il trend in crescita ha riguardato soprattutto i giovani fino a 30 anni, mentre un certo miglioramento interessa gli ultracinquantenni, nonostante l’indicatore, anche in questa fascia di età, si mantenga su livelli elevati soprattutto tra le donne (per le quali è circa doppio rispetto agli uomini).
Il Mezzogiorno, oltre ad avere un reddito medio disponibile pro capite decisamente più basso del Nord e del Centro, è anche la ripartizione con la più accentuata disuguaglianza reddituale: il reddito posseduto dal 20% della popolazione con i redditi più alti è 6,7 volte quello posseduto dal 20% con i redditi più bassi mentre nel Nord il rapporto è di 4,6.
L’Italia ha un livello di speranza di vita tra i più elevati in Europa, al primo posto con 80,3 anni per gli uomini e al terzo per le donne con 85,2, e la longevità continua ad aumentare. La mortalità infantile scende ancora – siamo a 30 decessi ogni 10 mila nati vivi – come pure la mortalità per incidenti da mezzi di trasporto dei giovani – 0,8 vittime ogni 10 mila residenti – e quella per tumori maligni tra gli adulti (8,9 decessi per 10 mila residenti). Migliorano, rispetto al 2005, anche le condizioni di salute fisica, e prosegue la riduzione di fumatori e di consumatori di alcol a rischio. Fra le criticità, non migliora la qualità della sopravvivenza e peggiora il benessere psicologico.
Si conferma il trend crescente della mortalità per demenze e delle malattie del sistema nervoso tra gli anziani (27,3 decessi per 10 mila abitanti), soprattutto tra i grandi anziani. Il carico assistenziale che queste patologie comportano sulle famiglie e sui servizi socio-sanitari si riflette negativamente sulla qualità della vita, non solo dei malati ma anche dei loro familiari.
Ancora diffusi stili di vita non virtuosi come la sedentarietà, che riguarda quattro persone su 10 – l’eccesso di peso – più di quattro su 10 – e un non adeguato consumo di frutta e verdura – più di otto persone su 10. Le donne, da sempre in vantaggio per la sopravvivenza, hanno una maggiore propensione alla prevenzione e stili di vita più salutari ma spesso sono penalizzate da patologie che comportano limitazioni nelle attività svolte abitualmente. Sono invece in crescita le differenze territoriali, con il Mezzogiorno che vede aumentare, anche per effetto della crisi, il proprio svantaggio nella speranza di vita (81,5 anni per il Mezzogiorno contro 82,5 anni per il Nord), nella qualità della vita (55,4 anni di speranza di vita in buona salute per il Mezzogiorno contro 60 anni per il Nord), nella mortalità infantile, nella salute fisica e psicologica e nei fattori di rischio legati agli stili di vita (sedentarietà, eccesso di peso e scorrette abitudini alimentari). Si mantengono marcate anche le disuguaglianze sociali negli stili di vita: le persone con titolo di studio più alto, a parità di età godono di migliori condizioni di salute fisica e mentale e adottano generalmente comportamenti più salutari. (DIRE)