Marocco, un progetto di tre Ong italiane contro l’abbandono minorile
RABAT – Le Ong italiane Ai.Bi. Amici dei Bambini, Ovci La Nostra Famiglia e Soleterre, stanno per avviare un progetto in Marocco, insieme ai loro partner locali, tutto incentrato sull’infanzia abbandonata o a rischio di abbandono. Le motivazioni che hanno portato all’identificazione del progetto sono dettate dall’attenzione e dall’esperienza diretta che le Ong italiane proponenti e i partner locali dedicano da diversi anni al tema dell’abbandono minorile in Marocco, nelle sue varie forme di disagio sociale, e dalla volontà di dare applicazione al dettato della nuova Costituzione marocchina (in vigore dal 1° luglio 2011) che – all’art. 32 sulla famiglia – annuncia che “lo Stato deve garantire uguale protezione e uguale considerazione sociale e morale a tutti i bambini, indipendentemente dalla loro situazione familiare”. Tuttavia questo principio é ancora lontano dall’essere applicato, anche a causa di limiti socio-culturali ancora molto forti nella cultura marocchina.
Non esistono ad oggi dati governativi ufficiali certi sull’abbandono in Marocco. Le uniche statistiche recenti si devono ad associazioni della società civile che parlano di 24 bambini abbandonati ogni giorno in Marocco, per un totale di 8.760 ogni anno (“Le Maroc des mères célibataires” (INSAF, 2010) ). Attualmente, il numero di minori in istituto si stima abbia raggiunto quota 70.000, distribuiti tra circa 816 “case per minori”. Nei centri vengono assistiti minori in stato di abbandono, con alle spalle situazioni familiari disagiate, spesso orfani di madre o di padre. Molti di loro, trovati per strada a pochi mesi di vita, una volta ricoverati in istituto hanno poche speranze di conoscere l’amore di una famiglia. La maggior parte di loro subisce purtroppo una lunga istituzionalizzazione, con conseguenze molto gravi sulla crescita e sul futuro di questi bambini (nella maggior parte dei casi i centri sono sovraffollati, la situazione igienica lascia a desiderare, il personale non è specializzato, manca l’accompagnamento psicologico, ecc.). I dati sulla lunga istituzionalizzazione pure sono allarmanti: secondo le stime ufficiali infatti, l’80% dei ragazzi che passano tutta la loro infanzia e adolescenza in istituto finisce col diventare delinquente; il 10% si suicida e solo il restante 10% si realizza nella vita.
In Marocco i bambini vengono abbandonati perché spesso nati da una sessualità che esula dalle norme sociali musulmane. Le madri, prese dallo sconforto, spesso giovani donne sole, a volte vittime di violenze, abusate e abbandonate, si trovano escluse dal quadro familiare, con delle ripercussioni psicologiche, sociali ed economiche importanti. Vedono le loro vite capovolgersi quando aspettano un bambino senza essere sposate, vengono ripudiate dalle loro famiglie o fuggono per paura delle punizioni, e si ritrovano per strada senza risorse e senza alcuna forma di sostegno psico-sociale. Per quelle giovani donne, le forme di aborto clandestine (o auto indotte) o l’abbandono del proprio bambino (se non addirittura l’infanticidio) risultano essere spesso le sole soluzioni per preservare la dignità della loro famiglia o per riuscire a reintegrarsi. Sempre dallo stesso studio risulta che tra il 2003 e il 2009, 340.903 bambini sono nati fuori dal matrimonio. Ad oggi, ogni anno, sono circa 30.000 i bambini indesiderati che per questo motivo vengono tenuti nascosti, non registrati all’anagrafe o istituzionalizzati.
Sussistono dunque nel paese gravi problemi sociali e mancanze nell’ambito della protezione all’infanzia e dell’accoglienza di bambini abbandonati e orfani. In Marocco l’unica alternativa all’istituzionalizzazione é la kafala, istituto giuridico islamico di protezione dell’infanzia che consiste nell’“impegno di prendersi carico della protezione, dell’educazione e del mantenimento di un minore abbandonato nello stesso modo in cui lo farebbe un genitore per il proprio figlio”. Tuttavia tra kafil (genitore “adottivo”) e makfoul (bambino preso in carico) non si creano né vincoli giuridici, né diritti successori, né impedimenti matrimoniali. Il tutto perché non si puo’ rescindere il legame di sangue che intercorre tra il minore e la sua famiglia d’origine. Per questo quindi, secondo quanto stabilito dalla legge marocchina, il makfoul non assume il cognome dall’affidatario ma continuerà ad utilizzare il nome della sua famiglia biologica conservando altresì con essa tutti i legami giuridici. Nella realtà pero’ da un po’ di tempo a questa parte la famiglia kafil riesce a far assumere al makfoul il proprio conognome. Purtroppo l’attuale legge marocchina che disciplina la kafala comporta tutta una serie di contraddizioni e vuoti giuridici che si riflettono poi nella pratica e che spesso scoraggiano le future famiglie interessate alla kafala e, quel che é peggio, non assicurano al bambino makfoul tutti i diritti di “figlio”.
Quello della kafala sarà solo uno degli elementi della lobbying prevista all’interno del progetto “Tous autour de l’enfance. Servizi di prevenzione e tutela a favore delle madri nubili, dei minori senza protezione famigliare e dei minori con disabilità in Marocco”, che ha come obiettivo generale quello di concorrere alla promozione e alla tutela dei diritti sociali ed economici delle madri nubili e dei loro figli, e dei minori in stato o a rischio di abbandono.