Migranti, l’Anm critica il piano Minniti

Foto di Borja Ruiz Rodriguez per MSF

ROMA – L’associazione nazionale magistrati (Anm) esprime “fermo e allarmato dissenso” sul cosiddetto piano immigrazione presentato dal ministro Marco Minniti, il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 2017 e non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale. In particolare, l’Anm critica la parte del pacchetto che riguarda l’implementazione e l’accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali in materia di protezione internazionale. Secondo i magistrati, è preoccupante la scelta legislativa di modificare il procedimento di impugnazione delle decisioni adottate dalle Commissioni territoriali in materia di riconoscimento della protezione internazionale. Questo – spiegano- rende residuale la comparizione delle parti (tendenzialmente sostituita dall’acquisizione della videoregistrazione dell’audizione del ricorrente davanti alle Commissioni territoriali) e prevede la non reclamabilità alla Corte d’appello del decreto decisorio del Tribunale e, infine, fissa per la decisione del ricorso per cassazione un termine di sei mesi dal relativo deposito.

Dubbi di legittimità. Tra le criticità che questo comporta, “l’effetto di una tendenziale esclusione del contatto diretto tra il ricorrente ed il giudice nell’intero arco del giudizio di impugnazione delle decisioni adottate dalle Commissioni territoriali in materia di riconoscimento della protezione internazionale – sottolineano -. Nel primo grado, infatti, la comparizione delle parti è solo eventuale, il secondo grado viene abolito ed il giudizio di legittimità è, di nuovo, tendenzialmente camerale. Tale situazione non può che destare dubbi di legittimità in relazione al principio della pubblicità del giudizio fissato dall’articolo 6 Cedu.(Corte europa dei diritti dell’uomo)”.
L’Anm ricorda che secondo una recente pronuncia della Corte di cassazione (Sez. VI, ord. 10.1.2017 n. 395) il principio di pubblicità dell’udienza è di rilevanza costituzionale – in quanto connaturato ad un ordinamento democratico e previsto, tra gli altri strumenti internazionali, appunto dall’art. 6 Cedu – “e che tale principio può essere derogato nel giudizio di cassazione, in ragione della conformazione complessiva del procedimento, a fronte della pubblicità del giudizio assicurata in prima o seconda istanza. Proprio alla luce di tali principi, appare allora fortemente dubbia la compatibilità con l’articolo 6 CEDU di una disciplina che, contemporaneamente, escluda la pubblicità dell’udienza in primo grado ed abolisca il secondo grado di merito”.

Irragionevole: “Si tolgono diritti”. In secondo luogo evidenziano che – anche se la previsione di un doppio grado di merito non sia costituzionalmente necessaria e, d’altra parte, sia innegabile la complessità dei problemi posti dalla gestione di imponenti flussi di richiedenti protezione internazionale -tuttavia la scelta di eliminare del tutto la garanzia dell’appello in materia di diritti fondamentali della persona, qual è il diritto alla protezione internazionale, appare obbiettivamente disarmonica, ai limiti dell’ irragionevolezza, nel quadro di un ordinamento processuale che, come il nostro, prevede tale garanzia per la stragrande maggioranza delle controversie civili, anche di infimo valore patrimoniale o extrapatrimoniale, comprese le impugnazioni delle sanzioni amministrative irrogate per la violazione di un divieto di sosta.

Impatto devastante sulla Corte di Cassazione. In terzo luogo – spiega ancora l’Anm – l’abolizione del reclamo avverso i decreti decisori del Tribunale è destinata a spostare sulla Corte di cassazione quel flusso di impugnazioni avverso i provvedimenti di primo grado che attualmente è filtrato dal reclamo davanti alle Corti di appello; ciò inevitabilmente produrrà sui flussi delle sopravvenienze davanti alla Corte di cassazione un impatto devastante, che, per il vincolo rappresentato dal previsto termine semestrale per la decisione dei ricorsi, non potrà che scardinare l’intera programmazione del lavoro della Suprema Corte. “Non si vede quale razionalità vi sia nell’azione di un Governo che nel mese di agosto emana un decreto legge imposto dalla “straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione” (così si legge nell’epigrafe del decreto legge n. 168/2016) e nel seguente mese di febbraio emana un altro decreto legge con cui disinvoltamente si pongono le premesse per una inevitabile esplosione di quel contenzioso” concludono i magistrati. .

L’Anm chiede infine che il legislatore tenga conto delle loro critiche “adottando i necessari correttivi al testo del decreto legge, quanto meno con l’inserimento di temperamenti di carattere procedimentale, ordinamentale ed organizzativo che bilancino le esposte criticità”. (Agenzia Redattore Sociale)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *