“Migrantour”: i migranti guide turistiche nei quartieri dell’Italia multietnica
TORINO – Essadiya ha 36 ed è nata in Marocco. A Torino ci è arrivata per lavoro, nel 2006; ma negli ultimi 5 anni ha accompagnato circa duemila persone – in gran parte torinesi – a visitare alcuni degli angoli più caratteristici della città. La incontriamo in un mercoledì mattina di metà dicembre, nel mercato rionale di Porta palazzo: è circondata da un gruppo di studenti delle superiori, ai quali sta spiegando il funzionamento delle due ghiacciaie ottocentesche che l’architetto Massimiliano Fuksas ha voluto lasciare in bella mostra per i visitatori del Centro palatino, la galleria di negozi ristrutturata qualche anno fa. “In origine – spiega la donna – questo posto era stato pensato per ospitare gli ambulanti cinesi che vendono vestiti sul marciapiede esterno, in modo da sgombrarlo. Ma gli affitti erano troppo cari per loro, e i negozi sono stati presi in gestione quasi esclusivamente da italiani”.
Porta palazzo ospita il mercato all’aperto più grande d’Europa: una piccola Babele di etnie, suoni e aromi provenienti da ogni angolo del mondo, “dove ogni giorno – precisa Essadiya – si mescolano almeno sessanta tra lingue e dialetti diversi”. Il suo compito, stamattina, è guidare i ragazzi alla scoperta di uno dei quartieri a maggior densità migratoria della città. Nella sola Torino, attualmente, ci sono almeno quindici stranieri che svolgono regolarmente questo genere d’attività: a formarli è stata l’agenzia “Viaggi solidali”, il primo tour operator italiano a occuparsi di turismo responsabile. Attiva da 15 anni, nella stessa zona del mercato, nel 2009 l’agenzia ha avuto un’idea: “portare i torinesi a scoprire il mondo fuori casa”, spiega Francesco Vietti, 35 anni, dottore di ricerca in Antropologia delle migrazioni; è stato lui a ideare Migrantour, un progetto che ai migranti ha affidato il compito di accompagnare turisti e concittadini a riscoprire i luoghi caratteristici delle migrazioni nelle città italiane. “A Torino – racconta – abbiamo cinque itinerari tematici: i primi due attraversano i quartieri di Porta Palazzo e San Salvario, ai quali si sono presto aggiunti Mirafiori sud e corso Regio Parco. L’ultimo, in ordine di tempo, è quello di Borgo San Paolo, una zona in cui negli ultimi anni si è stabilita una numerosa comunità latinoamericana”. Ognuna delle zone elencate da Vietti ha alle spalle una lunga storia di immigrazione: prima ancora che degli stranieri, queste strade furono meta di migliaia di meridionali, che nel secolo scorso si trasferirono a Torino per lavorare negli stabilimenti Fiat. Col tempo – mentre le loro inflessioni dialettali si contaminavano col Piemontese, dando origine a un dialetto che in regione costituisce una lingua a sé – in città iniziavano ad arrivare i primi espatriati nord africani, seguiti a stretto giro da cinesi ed est europei.
Essadiya durante il Migrantour
“Oggi – spiega Essadiya ai ragazzi, attraversando la sterminata distesa di bancarelle – a Torino vivono quasi 60 mila persone solo per quanto riguarda la comunità romena, la più numerosa in assoluto. Subito dopo ci sono Marocco, Perù e Cina”. Gran parte di queste etnie sono ben rappresentate nel mercato rionale, che col tempo è andato suddividendosi in quattro distinti settori: nel lato sud ovest, quello dei banchi di frutta e verdura, lavorano prevalentemente magrebini e vecchi immigrati dell’Italia meridionale; il quadrante opposto, invece, è occupato da cinesi, pakistani e asiatici che vendono scarpe, pelletteria e abbigliamento. Sul versante nord, oltre al Centro palatino, c’è la “Tettoia dell’orologio”, la zona del mercato coperto; dietro la quale si contano decine di negozi di prodotti tipici provenienti da Asia e nord Africa: è in uno di questi che, a metà mattinata, Essadiya porta i ragazzi a fare uno spuntino. “Si tratta della prima panetteria magrebina aperta in città” spiega, invitandoli ad assaggiare dolci come le Chebakia, “ciambelle di sesamo arachidi e miele”; o i makroud, “biscotti fritti, che vengono farciti con datteri, cannella e scorza d’arancia”. L’elemento gastronomico occupa grande spazio nel giro di Porta palazzo; “mentre a San Salvario – continua Vietti – si tende a soffermarsi maggiormente sui luoghi di culto; dal momento che, nell’arco di qualche centinaio di metri, il quartiere ospita la sinagoga, il tempio Valdese e la prima moschea aperta a Torino”.
L’idea di Mygrantour, Vietti l’ha avuta lavorando al Ctp Parini, uno dei centri territoriali permanenti dove gli stranieri frequentano i corsi d’italiano; tra le sue allieve c’era proprio Essadyia, la prima tra le guide ad aderire al progetto. “Dal 2009 – continua – soltanto a Torino ne abbiamo addestrati una ventina, provenienti da Marocco, Tunisia, Sudan, Cina, Senegal, Romania, Perù e Colombia. Da allora hanno accompagnato oltre 11mila persone: in genere si tratta di scuole o associazioni provenienti dalla città e dai paesi limitrofi; ma durante il World economic forum di ottobre, ad esempio, gli organizzatori hanno voluto acquistare 5 passeggiate per i delegati”. Mygrantour, in effetti, ha superato quasi subito la dimensione prettamente locale: a Torino si sono presto aggiunte le città di Genova, Firenze, Milano, Roma e Napoli; ma di recente il progetto ha attraversato anche i confini nazionali, sbarcando a Parigi, Lisbona, Marsiglia e Valencia. (Redattore Sociale)