Moumen, il cliente dell’emporio solidale che all’anno nuovo chiede un po’ di serenità
BOLOGNA – “Prendo solo quello che mi serve, niente di più. Lo lascio a chi ne ha bisogno”. Moumen Abdelhak è un ragazzo italiano di origini marocchine. Moumen è uno dei clienti dell’emporio solidale Capo di Lucca, uno dei rami del progetto Case Zanardi. Gli empori solidali sono supermercati a tutti gli effetti, ma una volta arrivati in cassa non si paga in contanti, bensì con un tot di punti che vengono scalati da una monte mensile calcolato in base al reddito e alla composizione del nucleo famigliare. Sono una delle forme sempre più diffuse di assistenza per il contrasto alla povertà. Moumen è stato uno dei primi utenti dell’emporio Capo di Lucca (in città ce n’è anche un altro, in via Abba): poche settimane fa sono finiti i primi 6 mesi – la prima scadenza prevista dal progetto – ma, essendo confermati i requisiti d’accesso, gliene sono stati rinnovati altrettanti. Potrà appoggiarsi all’emporio sino al 30 aprile 2016. “Di solito compro riso, pasta, sapone, dentifricio, tonno, carta igienica, latte. Prima per fare la spese se ne andava metà del mio stipendio, ora va molto meglio. Qualche volta possiamo anche permetterci un po’ di carne, pesce o verdure per il mio bambino”. Già, perché Moumen vive a Bologna con la compagna e il figlio di 3 anni. Il piccolo è nato di 6 mesi: “È nato molto prematuro: rispetto ai coetanei è in difficoltà sia nel linguaggio sia nei movimenti. I polmoni non si sono sviluppati adeguatamente: è molto debole, si ammala con estrema facilità. Una settimana va all’asilo, quella successiva è a casa”. Il bambino è seguito da una psichiatra e fa attività psicomotoria: “I dottori ci hanno detto che dovrà essere seguito con questa costanza almeno sino ai 10 anni. E la casa sembra una farmacia, abbiamo sempre antibiotici e aerosol a portata di mano. Anche per questo ringrazio gli assistenti sociali che hanno accolto la mia famiglia all’emporio solidale: le spese mediche sono parecchie, e tanti farmaci non mutuabili”.
Moumen è arrivato a Bologna (“Qui ho la residenza da 14 anni”) da Casablanca con documenti e contratto di lavoro. “Lavoravo in una fabbrica, che per problemi economici tra 2000-2001 è stata costretta a chiudere. Così mi sono messo in proprio”. Ha aperto un negozio di parrucchiere, assumendo anche dei dipendenti: ma dopo i primi momenti, il lavoro è drasticamente calato: “Tra contratti, tasse e bollette non ce l’ho più fatta. Le spese erano tante, e a un certo punto non sono più riuscito nemmeno a pagare l’affitto della casa, e ci hanno sfrattato”. All’epoca, Moumen viveva con la compagna, il figlio e la madre di 75 anni: “Per fortuna il Comune due anni fa ci ha dato una casa d’emergenza. È un piccolo appartamento: dopo averne a lungo parlato, tutti insieme abbiamo deciso che mia mamma facesse ritorno in Marocco. La casa non era abbastanza grande”.
Oggi, Moumen lavora come autista per una famiglia: 2 ore alla mattina, quando accompagna i figli a scuola, 2 al pomeriggio, quando porta il datore di lavoro a fare le commissioni. “Ho uno stipendio fisso, così capita che ogni tanto ci possiamo permettere un cappuccino in piazza Maggiore o uno spettacolo al circo. La mia compagna non lavora: occuparsi di nostro figlio è un impegno a tempo pieno, e solo con lei è davvero tranquillo”. In questi giorni di festa, la famiglia Abdelhak resterà in famiglia: “Non abbiamo parenti in zona, e fa troppo freddo per il bambino. Ci riposeremo un po’, magari passerò a salutare gli amici dell’emporio”. Amici che, nel corso della telefonata, Moumen non smette di ringraziare: “Ormai ci conosciamo. Quando vado là tutti i volontari mi chiedono sempre come stanno il mio bambino e mia moglie: sono sempre estremamente disponibili e carini, sorridenti. Mi consigliano negli acquisti migliori”.
“Cosa mi auguro per il 2016? Spero passi questo periodo critico. Spero mio figlio possa stare meglio. E spero anche la nostra Italia possa ritrovare un po’ di serenità”. (Redattore Sociale)