Myanmar, 19 mila Rohingya in fuga dalle bombe dell’esercito
Sale a 18.500 il numero dei profughi delle comunita’ Rohingya costretti a lasciare il Myanmar alla volta del Bangladesh nell’ultima settimana, dopo i bombardamenti condotti dall’esercito di Naypyidaw. Gia’ ieri varie ong e organizzazioni per i diritti umani, tra cui l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), avevano dato l’allarme. Il portavoce Unhcr Joseph Tripura aveva riferito di ben 3mila esuli in tre giorni. Oggi invece l’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, fa salire a oltre sei volte tanto la stima, che si riferisce agli ultimi sette giorni.
Non solo: nella serata di ieri Human Rights Watch (Hrw) ha diffuso un comunicato in cui afferma di aver catturato delle immagini satellitari che proverebbero gli attacchi armati nei villaggi dei Rohingya, nello Stato settentrionale di Rakhine. Le foto mostrerebbero oltre una decina di vasti incendi in varie zone della regione. Sono questi attacchi ad aver spinto migliaia di persone a lasciare le proprie case, diventate troppo insicure.
Le violenze sono cominciate il 25 agosto scorso, quando il gruppo armato Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa), che si fa portatore delle istanze indipendentiste in questo Stato, ha attaccato diverse stazioni di polizia. La risposta dell’esercito e’ stata immediata, con violenti bombardamenti contro i villaggi, che avrebbero causato almeno 110 vittime. Hrw denuncia il coinvolgimento indiscriminato della popolazione civile, presa nella morsa dell’insurrezione dell’Arsa da un lato, e la dura repressione dell’esercito dall’altro.
Intanto le dichiarazioni espresse dal governo della leader Aung San Suu Kyi hanno fatto discutere: lo staff umanitario dell’Onu e’ stato accusato di sostenere i “terroristi” dell’Arsa, in quanto un pacchetto di biscotti riportante il logo del Programma alimentare mondiale (Pam) e’ stato ritrovato in uno dei covi dei miliziani il 30 luglio scorso. Contro la linea dura assunta dal governo Suu Kyi si sono gia’ espressi, oltre alle Nazioni Unite, anche vari Stati nonche’ Papa Francesco. (DIRE)