Napoli “seconda casa” per i rifugiati
NAPOLI – L’accoglienza passa soprattutto attraverso l’integrazione. Questo è il messaggio che la Less onlus, che gestisce per il comune di Napoli tre centri di accoglienza nel cuore della città all’interno del progetto I.a.r.a. – Servizi integrati di accoglienza ed integrazione per i rifugiati, richiedenti asilo e titolari di protezione umanitaria, ha lanciato nei giorni scorsi con l’iniziativa “Accoglienza a porte aperte”. Per quattro giorni, dal 17 al 20 dicembre, l’associazione ha invitato la cittadinanza a entrare nelle strutture che gestisce, conoscere i ragazzi e le ragazze accolte, capire da dove vengono e perché si trovano qui, condividere con loro anche momenti di musica e convivialità.
“Perché il primo passo per superare i pregiudizi e la diffidenza – dice Simona Talamo, coordinatrice dei centri nell’ambito del progetto Iara – è la conoscenza. Gli episodi di razzismo e intolleranza si verificano quando un territorio non viene preparato ad accogliere”. Non è così per Napoli, secondo la Less, che ha in gestione tre centri: uno via Vertecoeli, l’altro in via Ponte Nuovo, ciascuno con 30 posti letto, e un altro a via Foria, il Don Calabria, dove si trovano 19 persone.
“Quelli che arrivano qui – spiega l’operatrice – sono neomaggiorenni, arrivati in Italia da minorenni che, dopo il percorso in comunità, hanno formalizzato la loro domanda di asilo. Complessivamente accogliamo 132 richiedenti asilo, per lo più uomini, ma ci sono anche 18 donne, dislocate in due gruppi appartamento, uno a Chiaiano e l’altro a piazza Garibaldi”. “Il sistema di accoglienza nel nostro Paese va quanto meno armonizzato – continua – non si possono mettere a ‘parcheggio’ delle persone in posti qualunque, strutture isolate o abbandonate, se non addirittura, come è successo nell’emergenza Nord Africa esplosa nel 2011 in anonimi alberghi, privando di qualunque dignità chi da noi arriva perché scappa da guerre e fame”.
“Questo accade – sottolinea la Talamo – perché il modo di pianificare e gestire la situazione da parte del governo italiano non è ordinario ma ancora legato a una logica emergenziale, senza comprendere che invece il fenomeno dell’immigrazione è ormai strutturale nella nostra società”.
La maggior parte dei richiedenti asilo accolti a Napoli ha tra i 18 e i 25 anni e viene dalla Nigeria, a seguire dal Mali e dal Gambia. Per loro la mattina c’è la scuola di italiano, quelli che sono più avanti con la lingua possono prendersi la terza media. “Per tutti – dice la coordinatrice Less – c’è un sistema di diritti e doveri da rispettare. I ragazzi che seguiamo devono fare degli sforzi per integrarsi”. In questa direzione vanno i corsi come teatro, fumetto, giornalismo, fotografia, ma anche palestra e calcio, e i tirocini formativi messi in campo dalla Less, che ha accordi con commercianti e rapporti ben consolidati con la comunità e le istituzioni locali.
“Se il primo step è seguirli nell’iter burocratico, in attesa che questo si concluda e si giunga al riconoscimento dello status di ‘richiedente asilo’, il secondo passo è inserirli in queste attività, far sì che si possano rendere autonomi”.
È così è stato per Jawara, gambiano di 19 anni, e Adama, malese di 21. “Sono qui da quasi un anno e mezzo – dice Jawara – il mio italiano non è perfetto ma ci provo. Ho fatto prima un corso di fotografia, ora faccio l’aiuto tipografo in una tipografia del centro. Lo facevo anche nel mio Paese, solo che qui le macchine sono diverse, all’inizio è stato difficile ma ora sto imparando”.
Sogna di fare il cuoco, invece, Adama che è in Italia dal 2011 e legge Leopardi per hobby: “Amo la cucina napoletana, sottolineo non italiana ma napoletana. L’anno scorso ho fatto un tirocinio di sei mesi in un ristorante di Pozzuoli e sono molto migliorato. Ma mi piace anche l’informatica, sento di essere cresciuto molto anche a livello intellettuale da quando sono in questo centro. Ora vorrei trovare un lavoro qui a Napoli perché è qui che voglio restare”. (Redattore Sociale)