Ndrangheta. Operazione Stige: imprenditori e politici collusi

Associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsione, autoriciclaggio, porto e detenzione illegale di armi e munizioni, intestazione fittizia di beni, procurata inosservanza di pena e illecita concorrenza con minaccia aggravata dal metodo mafioso. Sono, queste, le accuse contestate a vario titolo ai 169 indagati arrestati questa mattina nell’ambito dell’operazione Stige coordinata dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri dall’aggiunto Vincenzo Luberto e dai sostituti Domenico Guarascio, Alessandra Prontera e Fabiano Rapino.

Oltre ai provvedimenti custodiali, notificati dai carabinieri del Ros e da quelli del comando provinciale di Crotone in Calabria, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Lazio, Toscana, Campania e in Germania, è stato notificato anche un decreto di sequestro preventivo di beni per un valore di circa 50 milioni di euro. LEGGI I NOMI DEGLI ARRESTATI

Le indagini, in particolare, avrebbero documentato “l’operatività, gli assetti gerarchici interni e le attività criminose della locale di ‘ndrangheta dei Farao-Marincola di Cirò (KR), posta in posizione di sovra-ordinazione rispetto ad altre realtà criminali, seppure territorialmente contigue e/o con esso interferenti. La cosca aveva infiltrato il tessuto economico e sociale dell’area cirotana mediante un radicale controllo mafioso degli apparati imprenditoriali, operanti soprattutto nei settori della produzione e commercio di pane, della vendita del pescato, del vino e dei prodotti alimentari tipici, nonché nel settore della raccolta e riciclo sia di materie plastiche sia di r.s.u.”

L’attività investigativa “è riuscita quindi a delineare il quadro complessivo degli interessi illeciti gestiti in ambito nazionale e estero dal sodalizio indagato, verificando altresì la disponibilità di ingenti risorse finanziarie che venivano reimpiegate in numerose iniziative imprenditoriali e commerciali nel Nord-Italia e in Germania”.

“Le attività, condotte dai carabinieri e coordinate dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, hanno innanzitutto accertato la peculiare strutturazione dell’organizzazione criminale che, diretta dal boss ergastolano Farao Giuseppe cl. 47, aveva la sua base operativa nell’area di Cirò, Cirò Marina e comuni circostanti, dove è stata verificata anche l’operatività di due ‘ndrine satelliti: quella di Casabona (KR), facente capo a Tallarico Francesco, e quella di Strongoli (KR), facente capo alla famiglia Giglio. La locale di Cirò poteva inoltre contare su proprie promanazioni nelle regioni del nord Italia e della Germania, dove venivano gestite attività commerciali e imprenditoriali, frutto di riciclaggio e reimpiego dei capitali illecitamente accumulati”.

L’assetto del sodalizio era espressione delle direttive impartite dal citato Farao Giuseppe ed era chiaramente orientato a privilegiare lo sviluppo imprenditoriale della cosca, affidato ai propri figli e nipoti e sviluppato attraverso il reperimento di nuovi e sempre più remunerativi canali di investimento economico, limitando al massimo il ricorso ad azioni violente ed evitando gli scontri interni ritenuti pregiudizievoli per la conduzione degli “affari”. Il controllo mafioso del territorio era stato invece demandato ad una serie di “reggenti”, fedelissimi del capo cosca.

Le indagini hanno consentito poi di ricostruire la ramificata rete di imprenditori compiacenti e collusi che, sulla base di un rapporto perfettamente “sinallagmatico”, ottenevano rapidi pagamenti dalle Pubbliche Amministrazioni, recuperi crediti, lavori e commesse, pubbliche e private, riconoscendo di contro al sodalizio, i più diversificati favori, dalle assunzioni, ai finanziamenti, all’elargizione di somme di denaro, contribuendo efficacemente e consapevolmente all’accrescimento del potere mafioso sul territorio. Fondamentale è stata anche la collaborazione con le autorità tedesche (L.K.A. E B.K.A.) nel ricostruire gli affari illeciti gestiti dalla cosca in Germania.

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