Nigeria, la denuncia di Amnesty: “Bambini e neonati tra detenuti morti in base militare”

(Foto Anthony Cole per Amnesty International)

(Comunicato Stampa) – In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha rivelato che 11 bambini al di sotto dei sei anni di età – quattro dei quali addirittura neonati – erano tra i 149 detenuti morti quest’anno nel famigerato centro di prigionia situato all’interno della base dell’esercito nigeriano di Giwa, a Maidaguri.

Le prove raccolte attraverso interviste a ex detenuti e testimoni oculari, corroborate da video, fotografie e immagini satellitari, hanno fatto ritenere ad Amnesty International che molti detenuti possano essere morti per malattie, denutrizione, disidratazione o per ferite da arma da fuoco.

“La scoperta che neonati e bambini sono morti in condizioni terribili all’interno di un centro di detenzione militare è straziante e orribile allo stesso tempo. Avevano ripetutamente dato l’allarme sull’elevato numero di decessi e ora queste conclusioni mostrano che, sia per i piccoli che per i grandi, la base di Giwa resta un luogo di morte” – ha dichiarato Netsaney Belay, direttore delle ricerche sull’Africa di Amnesty International.

“Non possono esserci scuse né ritardi. Il centro di detenzione all’interno della base di Giwa deve essere immediatamente chiuso. I detenuti devono essere rilasciati o trasferiti sotto l’autorità civile. Il governo nigeriano deve urgentemente avviare programmi per garantire salute e benessere ai bambini rilasciati” – ha aggiunto Belay.

Amnesty International ritiene che circa 1200 persone siano attualmente detenute nella base di militare di Giwa, in condizioni anti-igieniche e di sovraffollamento. Molte di loro sono state arrestate arbitrariamente durante rastrellamenti, spesso senza che vi fossero prove nei loro confronti. Una volta trasferiti alla base militare di Giwa, i detenuti rimangono senza processo e senza contatti col mondo esterno. Almeno 120 detenuti sono minorenni.

 

Detenzione e decessi di bambini. Da febbraio, nella base militare di Giwa, sono morti almeno 12 bambini. I bambini al di sotto dei cinque anni di età e i neonati sono tenuti in tre celle sovraffollate riservate alle donne. Nell’ultimo anno la popolazione di queste tre celle è aumentata di 10 volte: da 25 nel 2015 a 250 nel 2016. L’assenza di igiene favorisce la diffusione delle malattie. Amnesty International ha appreso che in ognuna delle tre celle vi sono circa 20 neonati e bambini ai di sotto dei cinque anni di età.

Un testimone ha riferito di aver visto i corpi privi di vita di otto bambini: uno di cinque mesi, due di un anno, uno di due anni, uno di tre anni, uno di quattro anni e due di cinque anni.

Secondo le testimonianze di due ex detenute, nel febbraio 2016 sono morti due bambini e una bambina, tra uno e due anni di età.

Una delle due testimoni, una donna di 20 anni che ha trascorso oltre due mesi in cella, ha detto: “Sono morti in tre nel periodo in cui eravamo dentro. Quando morivano, eravamo sconsolate”.

L’altra, una donna di 40 anni detenuta nella base militare di Giwa per oltre quattro mesi, ha riferito ad Amnesty International come i soldati ignorassero le richieste di medicinali: “Con la stagione calda è arrivato il morbillo. La mattina ce l’avevano due o tre bambini, la sera erano diventati cinque. Li vedevi con la febbre alta, i corpi bollenti, gli occhi rossi, piangevano tutto il giorno e tutta la notte. Poi è arrivato un medico è ha detto che era morbillo…”

Dopo la morte di questi bambini, i controlli medici si sono fatti più regolari: “Ogni due giorni veniva un medico in cortile e chiedeva a chi aveva bambini ammalati di farsi avanti. Poi gli dava delle pillole attraverso la porta delle celle”.

Nonostante queste misure, pare che i bambini abbiano continuato a morire: tra il 22 e il 25 aprile vi sono state altre tre vittime, un bambino di un anno e una bambina e un bambino di cinque anni.

I bambini di età superiore ai cinque anni, arrestati da soli o coi loro genitori, sono detenuti in una cella a parte, senza poter vedere i loro familiari. Due di loro hanno raccontato di non aver mai ricevuto visite dei parenti e di essere usciti dalle celle solo per la conta. Il primo ha descritto come i nuclei familiari venissero separati dopo l’arresto: “I padri in una cella, le madri in quelle riservate alle detenute e le bambine insieme a loro”. Poi ha elencato i principali problemi all’interno del centro di detenzione: “Fame, sete e caldo”. Il secondo bambino ex detenuto ha confermato: “Il cibo non era sufficiente. Era veramente poco”.

I rilasci pubblici di massa di detenuti, compresi bambini e neonati, avvenuti nel corso dell’anno confermano che la presenza di questi ultimi nel centro di detenzione della base militare di Giwa non è un segreto per nessuno.

Il 12 febbraio, nel corso di una cerimonia per il rilascio di 275 detenuti erroneamente sospettati di essere coinvolti in atti di terrorismo o di rivolta, il generale Hassan Umaru ha detto che quel numero comprendeva anche “22 minorenni e 50 bambini rilasciati con le loro madri”. Secondo dichiarazioni dell’esercito, notizie di stampa e altre fonti pubbliche, dal luglio 2015 dalla base militare di Giwa sono stati rilasciati almeno 162 bambini.

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(Foto Anthony Cole per Amnesty International)

Detenzione e decesso di adulti. Dall’inizio del 2016, nel centro di detenzione della base militare di Giwa sono morti almeno 136 uomini, 28 dei quali avevano ferite da arma da fuoco.

Immagini e fotografie dei corpi emaciati di 11 uomini e di un neonato di meno di due anni di età sono state esaminate da esperti indipendenti.

Secondo il racconto di un ex detenuto, “al mattino [i soldati] aprivano le celle, tiravano fuori i secchi per l’urina e le feci e poi portavano via i morti”.

I corpi venivano portati a un obitorio di Maiduguri e poi all’Agenzia per la protezione dell’ambiente dello stato di Borno (Bosepa) che provvedeva a caricarli su camion della mondezza. Infine, venivano sepolti in fosse comuni anonime nel cimitero di Gwange, separate dall’area cimiteriale pubblica.

Un testimone ha riferito ad Amnesty International che da novembre un camion della Bosepa è arrivato cimitero di Gwange due o tre volte alla settimana.

Fotografie scattate all’interno del cimitero hanno evidenziato due fosse scavate di recente nelle aree in cui arrivavano i camion della Bosepa. Le immagine satellitari, riprese nel novembre 2015 e nel marzo 2016, mostrano porzioni di terra smossa nella stessa zona.

 

Condizioni detentive terrificanti. Secondo le testimonianze raccolte da Amnesty International, le condizioni peggiori erano nelle celle degli uomini. Un uomo di 38 anni, rimasto nella base militare di Giwa per quattro mesi, ha raccontato che i detenuti ricevevano mezzo litro d’acqua a testa al giorno e “una piccola ciotola di plastica con del cibo. Lo lasciavamo ai bambini”.

Un altro uomo, rilasciato dopo cinque mesi di detenzione, ha rilasciato questa testimonianza: “Non ci sono materassi, si deve dormire per terra. Ma è così pieno di gente che se ti stendi da un lato non riesci più a girarti dall’altro”.

Nelle celle per gli uomini non ci sono strutture per lavarsi, le celle sono raramente pulite e le malattie si propagano facilmente: “Siccome i detenuti non hanno magliette, gli puoi contare le costole. Non c’è igiene, si vive in mezzo alle malattie. È come stare in un gabinetto. Io e mio fratello ci siamo ammalati. Le scariche di diarrea erano un fatto comune”.

Nonostante le misure adottate nel 2014 e nel 2015 per migliorare le condizioni di detenzione nella base militare di Giwa (tre pasti al giorno, materassi e coperte, aumentato accesso ai servizi igienici e all’assistenza medica), i recenti arresti di massa paiono aver annullato alcuni di questi miglioramenti e i tassi di decesso sono in aumento.

“Di fronte a un nemico così spietato come Boko haram, l’esercito nigeriano si trova di fronte a una sfida determinante: sconfiggerlo ma rispettando pienamente i diritti umani e lo stato di diritto. Ma a quanto pare è una sfida che sta perdendo” – ha commentato Belay.

“Morire durante la detenzione nel nord-est della Nigeria non è una novità. Ma all’aumento del sovraffollamento corrisponde il numero dei morti, compresi bambini e neonati, all’interno del centro di detenzione di Giwa” – ha aggiunto Belay.

 

Ulteriori informazioni. Tra gennaio e il 28 aprile 2016 nel centro di detenzione della base militare di Giwa sono morte almeno 159 persone. Il mese peggiore è stato marzo, con 65 morti. Ad aprile i morti sono stati 39, tra cui otto tra bambini e neonati.

Le condizioni detentive all’interno della base militare di Giwa sono note dal 2013. Nel giugno 2015, un rapporto di Amnesty International aveva rivelato che dal 2011 almeno 7000 persone erano morte in centri di detenzione delle forze armate a causa di denutrizione, arsura, malattie, torture e diniego di cure mediche. Nel 2013, gli obitori avevano ricevuto oltre 4700 corpi provenienti dalla base militare di Giwa.

Nel febbraio 2016, il capo di stato maggiore delle forze armate aveva dichiarato che le condizioni di detenzione erano assai migliori di quelle denunciate da Amnesty International e che strutture detentive come quelle della base militare di Giwa sono “centri di transito”, dai quali i sospetti venivano rapidamente trasferiti verso altri centri di detenzione nel nord-est del paese.

Il sovraffollamento nel centro di detenzione della base militare di Giwa è il risultato degli arresti di massa nello stato di Borno. Dopo che nel 2015 l’esercito ha strappato a Boko haram una serie di città, gli abitanti dei villaggi circostanti si sono riversati in massa nei centri controllati dalle forze armate. Così, numerose persone – soprattutto maschi adulti e adolescenti – sono state arrestate non appena arrivate in città come Banki e Bama o all’uscita dai campi per sfollati.

Amnesty International ha documentato tre casi di arresti di massa nel corso del 2016, che hanno riguardato diverse centinaia di persone: arresti apparsi arbitrari, basati più che altro sul sesso e sull’età anziché sul sospetto di un comportamento criminale.

Il 12 aprile 2016 Amnesty International ha scritto al capo di stato maggiore delle forze armate, chiedendo di replicare alle prove e alle ulteriori informazioni sulle morti durante la detenzione. Il 20 aprile, egli ha risposto limitandosi a indirizzare Amnesty International all’ufficio del procuratore generale. Il 27 aprile, l’organizzazione ha scritto all’ufficio del procuratore generale e al ministro della Difesa, senza finora ottenere risposta.

Con ogni probabilità, le persone rilasciate porteranno su di sé lo stigma della detenzione. Per questo, e soprattutto per quanto riguarda i bambini, Amnesty International ha chiesto l’istituzione urgente di programmi per assicurare la salute e il benessere degli ex detenuti.