Nuove prospettive di pace per il Continente asiatico nell’incontro UPF-WFWP
“Qual è la peggiore sconfitta? Scoraggiarsi!”. Riflettendo su questa celebre frase di Madre Teresa di Calcutta, Franco Ravaglioli, ha affermato che “nonostante le tragedie del tempo presente, seppure con il cuore gonfio di dolore, abbiamo bisogno di continuare a credere che queste tempeste sono occasione di cambiamento. Nella consapevolezza che si possa vivere o morire per qualcosa di più grande, la pace”.
Con queste parole il Segretario Generale di UPF-Italia ha inaugurato la tavola rotonda “Le vie della pace per il superamento e la risoluzione dei conflitti asiatici emergenti” che si è svolta online, venerdì 24 settembre 2021. Nel suo discorso ha inoltre ricordato le più importanti iniziative di UPF: il “Summit 2020”, a cui hanno partecipato 6000 delegati da 170 paesi, le “Conferenze Internazionali per la Leadership” (ILC), i “Rally of Hope”, ovvero i Rally della Speranza, giunti alla settima edizione e il progetto “Think Tank 2022” una rete globale e multisettoriale di oltre duemila esperti di diverse discipline, impegnati nella ricerca delle soluzioni dei più complessi problemi del nostro tempo.
L’evento, promosso per celebrare la “Giornata internazionale della pace” istituita dalle Nazioni Unite, è stato organizzato da Universal Peace Federation (UPF- Italia), in collaborazione con l’Associazione Internazionale dei Media per la Pace (IMAP-Italia), l’Associazione Internazionale degli Accademici per la Pace (IAAP-Italia), la Federazione delle Donne per la Pace nel Mondo (WFWP- Italia) ed EcodaiPalazzi.it.
Hanno partecipato all’incontro Elisabetta Nistri, Presidente di WFWP-Italia; Franco Ravaglioli, Segretario generale di UPF-Italia; Marco Lombardi, Direttore del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano; Marino D’Amore, Sociologo della Comunicazione dell’Università Niccolò Cusano di Roma; Michele Pavan, Presidente di “Mondo Internazionale”; Pier Ferdinando Casini, Senatore e Presidente dell’Unione Interparlamentare; Carmen Lasorella, Giornalista, relatrice e moderatrice.
Per Elisabetta Nistri, “l’Afghanistan non ha un futuro se non sono rispettati i diritti delle donne, dei bambini e delle bambine”. Le donne, ha sottolineato, svolgono un ruolo cruciale come leader nelle loro comunità, madri nelle loro famiglie e membri vitali delle loro società e nazioni. Hanno quindi un ruolo importante per la stabilizzazione e la prosperità di qualsiasi società. Affinché possano dare il loro contributo, ha proseguito, è assolutamente necessario che siano rispettati i loro diritti e la loro dignità. “E’ questo l’appello che si articola in nove punti, che l’ufficio della WFWP con sede all’Onu a Vienna ha rivolto al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e alla sua Sezione Speciale sull’Afghanistan”, ha concluso la relatrice.
La giornalista Carmen Lasorella, ha ricordato come “la pace è un tema e un valore universale, un insieme fatto di buongoverno, di giustizia, di sicurezza e di benessere. Una nozione universale, ma che inevitabilmente viene relativizzata con la guerra che continua a essere una realtà del nostro tempo. Ed è proprio per poter prevenire i conflitti che è necessario conoscere l’elemento guerra”. Ha ricordato come il mondo asiatico, con le sue potenzialità conflittuali e la realtà dell’Oceano Pacifico, riguardi tutti noi. “Perché è lì che si è spostato il centro di quelli che dovranno essere i futuri equilibri, perché è in quell’area che sono cambiati gli assetti con players che nel frattempo sono cresciuti. Penso al peso globale della Cina e alle conseguenze geopolitiche del conflitto in Afghanistan, con le sue ripercussioni che si avranno anche sulla nostra vita di europei”.
Ha preso la parola il Senatore Pier Ferdinando Casini il quale, riferendosi all’Europa, ha spiegato che “i problemi della globalizzazione e gli eventi internazionali dimostrano che non basta essere giganti economici se non si riesce ad avere un cuore politico. Ha parlato dei “problemi che non si vedono”, come la costruzione al largo del Pacifico, da parte dei cinesi, di isolotti militari fortificati per porre le basi per una sovranità di fatto nel Mare Cinese meridionale nonché dei problemi latenti di Taiwan e Hong Kong”. Ha espresso la necessità di “costruire solide vie della pace partendo da questa realtà asiatica che oggi si trova ad essere un terreno di competizione globale. Parlando dell’Afghanistan ha ricordato di non aver mai creduto all’esportazione della democrazia, ma che ci devono essere dei diritti che vanno salvaguardati a qualsiasi latitudine del mondo. Ha poi affermato come sia indispensabile per la pace riscoprire il ruolo del Parlamento, dove tutte le forze politiche s’identificano, e come la pace sia una riconquista continua e che deve essere l’obiettivo primario dei Parlamenti . “Quello che voglio assicurare alla UPF è che una rete di parlamentari esiste ed è pronta a sostenere i vostri sforzi e ad essere una cassa di risonanza all’interno dei parlamenti”.
Per il professor Michele Pavan, “raggiungere una pace di connessione, di dialogo costante, d’interazione tra diverse culture, è un lavoro che richiederà, oltre a un’attività semplicemente economica e di sicurezza anche militare, che sono fondamentali per la pace, un contesto di diplomazia culturale. Questa pratica di softpower comprende tutti gli aspetti della connessione e della conoscenza delle altre culture, l’accettazione e la valorizzazione della diversità in ambito internazionale, uno scambio economico e valoriale, uno scambio religioso e un’accettazione delle religioni a livello globale. Lo studioso ha concluso affermando che “se la democrazia non è esportabile, ci sono contesti statuali che possono essere più facilmente esportati, come probabilmente quello dello stato federale”.
“Noi ragioniamo per logiche di prossimità. Proviamo una solidarizzazione maggiore quando ci sentiamo più implicati rispetto a una vicenda. Questa implicazione nasce da una vicinanza non necessariamente geografica ma culturale” ha affermato il Professore Marino D’Amore. Lo studioso ha quindi sostenuto che “il colpo di stato in Myanmar non ha suscitato quella stessa narrazione e percezione che ha avuto la presa di Kabul da parte dei Talebani”. Ha spiegato che come occidentali ci siamo sentiti più coinvolti in quel contesto, dove si è cercato di insediare un governo democratico in un’area storico culturale che non riesce a metabolizzarlo. Per il professore “la soluzione è nella glocalizzazione, ovvero declinare a seconda dei contesti socioculturali tutte quelle tendenze e velleità democratizzanti, in un’ottica mai unilaterale e sempre interculturale”.
“Noi, come Università Cattolica”, ha raccontato il Professor Marco Lombardi “siamo in Afghanistan da tanti anni. Tra le tante cose fatte abbiamo organizzato corsi di formazione per le donne perché diventassero giornaliste. Le donne sono sempre il motore del cambiamento, hanno una visione del futuro che passa attraverso i figli e le figlie. Con loro sta cambiando il futuro. Se poi, come abbiamo fatto noi che dal 2009 al 2015 abbiamo fatto diventare giornaliste qualche decina di ragazze, allora la cosa è ancora più dirompente”. Ha spiegato come tutto questo sia diventato un problema e come si stiano prendendo cura di più di cento di queste ragazze nelle varie “safe house” tra Kabul e Herat. Nonostante siano ripresi i voli, è inimmaginabile che una ragazza ricercata perché giornalista possa andare dal governo talebano e ottenere il passaporto per espatriare. “L’unica speranza è poter lavorare sui corridoi umanitari con dei voli charter che non richiedono documenti formali per l’imbarco”.
La moderatrice ha voluto nuovamente coinvolgere i relatori per un ulteriore approfondimento, invitando Marco Lombardi, a parlare della narrazione del terrorismo e sulla possibile alleanza tra Occidente e Oriente per sconfiggere questo nemico comune. Il professore ha affermato che la ”responsabilità dell’apparato mediatico nella guerra al terrorismo è stata terrificante; ha fatto da amplificatore ai proclami del terrorismo islamista” e si è detto scettico che questa minaccia possa diventare un nemico comune.
Alla domanda se tra i giovani c’è l’energia, la forza e si possa contare su di loro per la costruzione della pace, Michele Pavan ha assicurato che le giovani generazioni sono ben disposte e hanno forza ed energia, che non devono essere emarginate e sottovalutate, perché potrebbero essere una spinta molto importante per arginare dei contesti molto pericolosi.
Marino D’Amore, sollecitato dalla moderatrice a parlare dell’informazione, ha risposto che non sempre fa educazione, ma che contribuisce a farla. Ha poi aggiunto che, grazie al confronto che le nuove tecnologie ci offrono rispetto al passato, e attraverso la selezione dei contenuti possiamo cercare di carpire una nuova socializzazione. “Con essa le vecchie agenzie, come la famiglia e la religione, devono per forza fare i conti per non cadere nell’obsolescenza. Esse devono inoltre evitare situazioni di conflitto con le nuove agenzie e agire con spirito di collaborazione e in sinergia”.
La moderatrice Carmen Lasorella ha chiuso l’incontro con una citazione di Sant’Agostino: “non ci sono tempi buoni o cattivi, perché i tempi siamo noi” aggiungendo che la possibilità di contribuire alle strade della pace è anche nelle nostre mani.