Pietro Grasso: “Il ritorno in politica dei condannati per mafia? Una sfida alla giustizia”
“Il ritorno nella politica attiva di personaggi condannati per mafia è una sfida a viso aperto alla giustizia: si lascia intendere che si torna a garantire quel sistema clientelare di cui la mafia è un ineludibile pilastro”. Lo afferma Pietro Grasso, ex magistrato antimafia ed ex presidente del Senato, in una lunga intervista su FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez in edicola da sabato 10 settembre con un numero dedicato alla scomparsa della questione morale da questa campagna elettorale. “Al di là della candidatura di due importanti ex magistrati da parte del M5s”, continua Grasso, anche dal Movimento oltre che da tutti gli altri partiti per ora si sente solo un assordante silenzio. Il tema è da tempo fuori dall’agenda, anche mediatica”. E sulla giustizia in generale, “le uniche proposte sono quelle della destra contro le toghe: si rilancia una legge già dichiarata incostituzionale come la legge Pecorella, che impedisce l’appello per chi è dichiarato innocente in primo grado, e si torna alla carica con la separazione delle carriere”.
E la mancata ricandidatura da parte del Pd? “Dopo lo strappo del novembre 2017 dal Pd di Matteo Renzi, in occasione dei cinque voti di fiducia sul Rosatellum, presi atto che il Pd era ‘irriconoscibile per merito, metodo, stile’. Mi ero poi riavvicinato al Pd di Letta partecipando e organizzando delle Agorà sulla giustizia. La mia disponibilità a proseguire quel lavoro era nota, ma evidentemente la contrazione dei parlamentari, i problemi tra le correnti e la strategia delle alleanze hanno reso complicata la mia candidatura”.
Nell’intervista firmata da Gianni Barbacetto, Grasso parla a tutto campo dei protagonisti di questa campagna elettorale: “Con Meloni c’è il fondato rischio che si inaspriscano le tensioni sociali per coprire le difficoltà economiche, come successe con Matteo Salvini al Viminale”.
L’ex presidente del Senato parla anche degli scontri con l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi: “Ho vissuto momenti di tensione quando la mia imparzialità è stata vissuta come un’offesa da Renzi presidente del Consiglio, con il quale gli scontri erano continui”. In particolare quando, dopo le dimissioni di Giorgio Napolitano, Grasso divenne presidente della Repubblica supplente: una carica che “ho esercitato nella pienezza delle funzioni: firmando o rifiutando, sotto il profilo della non stretta aderenza ai principi costituzionali, decreti legge proposti dal governo Renzi. La telefonata più tesa con lui fu proprio in quel periodo, una rottura pressoché insanabile”.
Tornando al sua passato da magistrato antimafia a Palermo, Grasso ricorda i primi colloqui investigativi sul presunto ruolo di Silvio Berlusconi nella stagione delle stragi fra il 1992 e il 1993, poi riproposte dal collaboratore Gaspare Spatuzza e dal boss detenuto Giuseppe Graviano. Spiega Grasso: “Nessuno potrà mai negare – al di là qualsiasi prova giudiziaria mai raggiunta sulla partecipazione nella fase di ideazione delle stragi 92-93 – il ruolo di Berlusconi quale “utilizzatore finale”. Il cammino verso la verità è lungo e irto di ostacoli”.