Pochi e stremati Covid, gli ‘eroi’ a Reggio Emilia
Gli “eroi” del Covid di Reggio Emilia? Sempre più stanchi, in pochi a fronteggiare la nuova marea dei contagi (il 5 gennaio scorso il direttore dell’Ausl Cristina Marchesi rendicontava circa 150 operatori assenti, tra sospesi e positivi) ed esposti all’infezione. A segnalarlo Gaetano Merlino, sindacalista responsabile del comparto sanità per la Funzione pubblica della Cgil. “La variante Omicron in questo momento continua ad infettare, in maniera anche asintomatica, un po’ tutti. Ha una grande diffusione tra le persone e il fatto che i contagiati non presentino sintomi, questo anche grazie alla vaccinzaione, non permette di individuare i casi nell’immediato”. Dunque, “come succede nella vita quotidiana anche nelle strutture ospedaliere gli operatori che hanno dei figli, o hanno un minimo di vita sociale, o vanno al supermercato che per la grande diffusione del virus può diventare anche quello un punto di contagio, sono facili all’infezione”.Agenzia DIRE)
Così, in alcuni casi, spiega Merlino alla Dire, “ci sono delle giornate in cui l’Usl di Reggio si trova ad avere anche 30 malattie al giorno a cui far fronte, anche perchè comunque i dipendenti che hanno un minimo sintomo, coscientemente, prima di presentarsi al lavoro preferiscono fare un tampone piuttosto che andare allo sbaraglio”. Per l’esponente della Camera del lavoro “dire che si è sotto organico non è corretto, ma sicuramente la difficoltà nel coprire i turni è immensa”. Del resto continua Merlino, “noi l’avevamo già denunciato più volte ed è una conseguenza delle indicazioni che la Regione aveva dato nei mesi scorsi. Cioè di non rinnovare i contratti a tempo determinato che andavano in scadenza, e questo, con la nuova ondata, ha fatto sì che non si è stati in grado di sostenere l’uscita del personale con la richiesta che serviva al momento”. Ai turni massacranti si associa poi la mancanza di ferie. “Alcuni operatori sono stati richiamati dalle ferie, qualcuno ha avuto la possibilità di farle e a tanti altri è stato detto che in questo momento sono bloccate perché ci sono delle necessità. E’ previsto dal contratto- puntualizza però Merlino- quindi le operazioni fatte dall’azienda sono legittime, non vanno contro il contratto”. Ma allo stesso tempo “gli operatori sono stremati: una settimana di ferie poteva aiutarli a rigenerarsi invece si trovano a dover fronteggiare la carenza di personale”. Come sindacato, continua l’esponente della Cgil, “abbiamo chiesto fin da ottobre di non lasciare a casa nessuno e di assumere personale. L’azienda lo sta facendo ma purtroppo il personale che deve essere riassunto tra il passare dal medico competente, fare la visita per l’idoneità fisica e il dover lasciare l’altra attività lavorativa che magari stanno facendo, fa sì che passino almeno 30 giorni”. E in altri casi “l’unica alternativa è il lavoro interinale che per noi non è l’arma migliore, ma è ora l’unica che le Aziende sanitarie hanno in mano per fronteggiare la situazione”. Così però “torniamo al concetto degli anni precedenti in cui operatori della sanità scarseggiavano”, avvisa Merlino. Non va meglio al personale amministrativo che “in questo momento può essere assunto con contratti Cococo che è una forma assolutamente non utilizzabile nell’amministrazione pubblica, però un’articolo del ‘Cura Italia’ permetteva che venisse applicata fino al termine del periodo emergenziale, e quindi allo stato attuale fino al 30 di marzo”. Questa “è un’altra forma contrattuale che non ci piace, in generale e soprattutto nella pubblica amministrazione”. Insomma, “il peso della pandemia si sente: a differenza dell’ondata precedente in cui i contatti potevano essere controllati, in questa non è possibile perché la malattia si presenta anche in forme leggere e potrebbe far diventare tutti degli ‘untori’, seppure a loro insaputa”. Quindi “il vaccino resta un baluardo”, ma non elimina tutti i rischi. Ad esempio, spiega Merlino, “le ultime normative prevedono che se hai la terza dose e non hai sintomi potresti andare a lavorare con una mascherina di tipo Ffp2. Ma noi non scegliamo chi ricoverare, e siamo comunque a contatto con soggeti fragili, che restano quelli più a rischio”. (