Povertà, il 2016 anno dei record
ROMA – Per la povertà, il 2016 verrà ricordato come l’anno dei record. L’annuale rapporto Istat sulla povertà, presentato a luglio, ha registrato il picco dei poveri assoluti in Italia: sono 4,6 milioni di persone, più di 1,5 milioni di famiglie. Il dato più alto dal 2005 (anno in cui l’istituto di statistica ha iniziato a seguire passo passo i dati sui poveri assoluti). Ma non sono solo i dati sui poveri ad aver catturato la scena, c’è anche un altro primato che va registrato e cioè quello delle risorse recuperate dal governo per combattere la povertà assoluta: nel 2017 ci saranno circa un miliardo e mezzo, mai destinato così tanto a questo tema e mai destinato così tanto in maniera strutturale. A fare un bilancio su quest’anno che sta per concludersi e qualche previsione utile per il 2017 è Raffaele Tangorra, direttore generale per l’inclusione e le politiche sociali del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che a Redattore sociale racconta gli ultimi sviluppi sul Sia, il sostegno per l’inclusione attiva, e le novità contenute nella legge di bilancio e nel testo della delega in discussione al Senato.
La prima novità riguarda le risorse. In realtà, non è proprio una “buona nuova”, ma per il 2017 di sicuro sarà un buon inizio. Secondo Tangorra nel 2017 ci saranno circa 1,5 miliardi contro la povertà, qualcosa in più degli 1,15 miliardi raggiunti con la legge di bilancio. Una quota raggiunta non per via di nuove risorse rispetto a quelle previste dalla legge di stabilità 2016 (1 miliardo per il 2017) e dalla legge di bilancio approvata in tutta fretta dopo il referendum (150 milioni), ma di un totale che si accumulerà anche grazie allo slittamento delle risorse stanziate per il 2016 sul Sia. “Nel primo bimestre del 2017 – spiega Tangorra – ci sarà già un allargamento della platea rispetto a quella del 2016. Con emendamento approvato dalla Camera, la dotazione è stata portata a 150 milioni in più già nel 2017, ma tenuto conto delle risorse risparmiate sul 2016, sui 750 milioni del decreto del 19 luglio del 2016, riusciremo già dal 2017 a portare l’intervento sul suo livello strutturale di un miliardo e mezzo, sin dai primi 60 giorni. Circa metà delle risorse di quest’anno potranno essere disponibili per il 2017”.
Ma quale sarà lo strumento che il governo utilizzerà per combattere la povertà da gennaio 2017? Al momento, di sicuro, c’è solo il Sia. La crisi di governo, infatti, ha rallentato l’iter del disegno di legge delega “recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali” collegato alla legge di stabilità 2016. Attualmente il testo è al Senato e non è facile determinare i suoi tempi. “Gli scenari politici più generali dovranno in qualche modo essere presi in considerazione rispetto al futuro di questo provvedimento – spiega Tangorra -. Per l’approvazione della delega i tempi ci sono. Ci sarebbero anche quelli dell’approvazione dei decreti delegati, ma a quel punto bisogna davvero correre e l’orizzonte del governo deve essere sufficientemente lungo. Queste sono valutazioni che dovrà fare il governo insieme al Parlamento con l’anno nuovo”. Intanto, il 2017 è ormai alle porte e l’unica soluzione sembra essere quella di continuare con il Sia, aspettando il Rei, il reddito di inclusione contenuto nel ddl delega. “La legge di stabilità dello scorso anno diceva che nel 2016 il piano povertà doveva essere costituito da due misure, il Sia e l’Asdi: il primo su base nazionale e l’Asdi già previsto dal Jobs Act. Se i nuovi provvedimenti non verranno adottati, le risorse del 2017 si possono utilizzare e saranno utili per rafforzare la misura contro la povertà vigente. In questo momento, quindi, ci si concentra sul Sia”.
Sia e Rei, però, non sono la stessa cosa, anche se le differenze non sono molte. “I principi fondamentali sono i medesimi – assicura Tangorra -. La differenza principale è forse quella legata la beneficio. Con emendamento approvato alla Camera, il Rei è una misura il cui ammontare è dimensionato rispetto alla distanza dalla soglia di povertà, che andrà definita. Dal punto di vista del beneficio, inoltre, il Rei dovrebbe contenere delle novità rispetto al Sia, ma non è escluso che possano essere introdotte anche immediatamente sullo stesso Sia”. Se e quando il Rei sarà pronto, difficile dirlo ora. Quando ci sarà un nuovo strumento, spiega Tangorra, verrà attivato un “percorso senza strappi che permetta di transitare da una misura all’altra”.
Intanto, dal nuovo Sia arrivano “risconti positivi”, anche se la risposta dei territori, ammette Tangorra, è “variabile”. “Il 2 settembre si sono aperti i canali per l’acquisizione delle domande – spiega Tangorra -. L’impressione che abbiamo, però, è che non ci sia ancora sufficiente conoscenza dello strumento. È molto presto per fare bilanci. Tuttavia, in assenza di una comunicazione sui grandi media, che stiamo preparando, abbiamo già raggiunto risultati considerevoli. Siamo già sopra i 50 mila nuclei beneficiari”. E il flusso di domande è “tuttora consistente”. Oggi all’Inps arrivano circa “10-15 mila richieste a settimana”, aggiunge Tangorra. Numeri che vanno letti in un contesto diverso da quello della prima sperimentazione del Sia nelle 12 grandi città italiane. Se in quel caso la finestra temporale per presentare domanda era davvero ristretta (e sbadatamente aperta in piena estate), oggi non ci sono più scadenze. Le domande vengono raccolte “a sportello” e valutate caso per caso. Niente più bandi e graduatorie. Come prevedibile, inoltre, è “il Mezzogiorno quello che traina – continua Tangorra -. In particolare, le due regioni più popolose in cui gli indicatori di povertà tutti ci dicono che c’è maggiore disagio, cioè Campania e Sicilia. Nel Centro Nord, invece, non abbiamo regioni che spiccano per quantità di domande presentate”.
La vera scommessa, però, si gioca sui territori e riguarda i servizi rivolti all’attivazione di percorsi di fuoriuscita dalla povertà delle persone che accedono al beneficio economico. Il meccanismo condizionale, che lega cioè l’erogazione alla partecipazione a corsi o attività per il reinserimento lavorativo, è però un’arma a doppio taglio. Se è essenziale a recidere il cordone ombelicale con lo Stato, bisogna riconoscere che funziona solo se sul territorio ci sono servizi adeguati. In tal senso è stato proprio il governo a puntare sui Pon Inclusione legando il miliardo stanziato al potenziamento dei servizi territoriali. “Al momento è ancora aperto l’avviso pubblico – spiega Tangorra -. Abbiamo destinato quasi tutto il Pon inclusione, un programma operativo nazionale che nasce proprio con questa finalità: 1 miliardo che spenderemo nei prossimi anni per rafforzare i servizi territoriali. L’avviso permette di presentare domande a scadenze di circa un mese e mezzo. La prima l’abbiamo avuta il 30 settembre, l’altra il 15 novembre, adesso una il 30 di dicembre e proprio in questi giorni ci è stato chiesto di tenere aperti i termini anche per il mese e mezzo successivo. E’ un percorso che i servizi stanno facendo. Si stanno guardando dentro e stanno cercando di capire quali sono le difficoltà. Dall’ultimo tavolo con gli assessori regionali, le grandi città e l’Anci, è stato riconosciuto il ruolo di questo percorso all’interno degli ambiti territoriali, delle regioni, che ha avviato una riflessione su come rilanciare i servizi, non solo sociali, ma anche territoriali all’insegna della lotta alla povertà”.
Sebbene il dibattito sulle misure di contrasto alla povertà siano focalizzate su Sia e Rei, dietro le quinte c’è ancora una “vecchia” social card che non ha mai smesso di funzionare. Quaranta euro al mese erogati ogni bimestre a famiglie con bambini sotto i tre anni o anziani over65. E nel 2017 pare proprio che continuerà a svolgere la propria missione. O almeno parte di essa. La prima “card” sociale in Italia, la più discussa e fino allo scorso anno l’unica misura stabile e di sistema contro la povertà (fino all’arrivo del Sia di quest’anno) avrà ancora fondi e beneficiari fino a quando non ci sarà il riordino delle misure contro la povertà. “La vecchia social card continuerà ad erogare risorse – spiega Tangorra -. Quello che prevede il disegno di legge approvato alla Camera è che le misure di contrasto alla povertà siano riordinate per confluire nell’unica misura denominata Rei. Il disegno di legge già prevede questo confluire della social card nel futuro Rei. In realtà qualcosa abbiamo già anticipato: alcuni beneficiari della vecchia social card, i bambini, che sono anche beneficiari del Sia non ricevono il doppio sostegno economico, ma quello della vecchia social card viene decurtato dal Sia, essendo medesima la carta. L’integrazione, in parte, già c’è”. La vecchia carta, però, ha fondi strutturali: 250 milioni l’anno che, anche in futuro, potranno essere utili soprattutto agli anziani, a meno che nelle nuove misure non si preveda qualcosa di specifico per loro. “Nella delega è previsto che la vecchia social card confluisca nel Rei – conclude Tangorra -, fatti salvi gli anziani, perché c’è una formula per cui, fino a quando non ci saranno misure che coinvolgano gli anziani, per loro permane questo beneficio”. Il 2016, quindi, si chiude con una povertà sempre più preoccupate, sempre più “nuova”, ma non senza un’intervento strutturale da parte dello stato, come accaduto in passato. Per piano nazionale c’è ancora da aspettare, ma la strada imboccata lascia ben sperare. (Agenzia Redattore Sociale)