Primavera araba, cosa è cambiato dopo 5 anni
Il 17 dicembre 2010, nella città tunisina di Sidi Bouzid, il venditore ambulante Mohamed Bouazizi si diede fuoco per protestare contro le vessazioni della polizia, dando vita a un’ondata di proteste, presto estesasi agli altri paesi della regione.
A cinque anni di distanza, secondo Amnesty International le violazioni dei diritti umani in corso nei paesi della “primavera araba” ricordano sempre più il clima di repressione e violenza del passato.
“Molti condivisero la speranza che la ‘primavera araba’ avrebbe trasformato le relazioni tra governanti e popolo, favorendo maggiore condivisione del potere, giustizia sociale, trasparenza, assunzione di responsabilità e un più ampio rispetto dei diritti umani. La realtà è che, ovunque nella regione, conflitti e aspra repressione sono all’ordine del giorno” – ha dichiarato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
Amnesty International ha passato in rassegna la situazione dei diritti umani in alcuni dei paesi della “primavera araba”:
Egitto. La repressione è estremamente dura e quotidiana. Sono in carcere numerosi attivisti pacifici, voci critiche, sostenitori del deposto presidente Mohamed Morsi e della Fratellanza musulmana. Sono state emesse centinaia di condanne a morte.
Bahrein. Le autorità continuano a stroncare il dissenso attraverso l’uso eccessivo della forza, gli arresti e le condanne di manifestanti e la tortura e i maltrattamenti contro i detenuti.
Libia. Il paese è profondamente diviso. Tutte le fazioni coinvolte nei vari conflitti armati in corso hanno commesso crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani nella completa impunità.
Siria. Nel più sanguinoso dei conflitti armati della regione, scoppiato a seguito della repressione brutale delle proteste di massa da parte del governo di Bashar al-Assad, vengono commesse atrocità di massa. Metà della popolazione è ormai sfollata, all’interno e all’esterno del paese.
Yemen. Gli attacchi aerei da parte della coalizione guidata dall’Arabia Saudita e i bombardamenti da parte delle forze houti contro le zone civili, hanno causato centinaia di morti tra la popolazione. In alcuni casi si è trattato di crimini di guerra.
Tunisia. È l’unica, parziale “storia di successo” della “primavera araba”. Sono stati fatti importanti passi avanti verso la tutela dei diritti umani e il Quartetto per il dialogo nazionale tunisino ha ricevuto il premio Nobel per la pace 2015 per il suo “decisivo contributo alla costruzione di una democrazia pluralista”.
Tuttavia, in pochi sono stati chiamati a rispondere delle violazioni del passato e del presente, compresi recenti attacchi contro manifestanti e giornalisti. Nonostante le riforme di segno positivo, continuano le restrizioni arbitrarie nei confronti della libertà d’espressione. Dopo i sanguinosi attentati rivendicati dal gruppo armato “Stato islamico”, centinaia di persone sono state arrestate o poste agli arresti domiciliari. Gli attivisti per i diritti umani vengono sempre più criticati per la loro decisione di continuare a difendere i diritti umani.
“Le riforme nel settore della sicurezza – ha concluso Luther – sono state troppo limitate e le continue violazioni dei diritti umani, compresi casi di torture e maltrattamenti, spesso in nome della lotta al terrorismo, agitano lo spettro del ritorno alle misure repressive del passato. Le autorità tunisine devono assicurare che le misure di sicurezza adottate in nome della lotta al terrorismo rispettino i diritti umani e che il lavoro legittimo degli attivisti per i diritti umani non venga denigrato”. (Comunicato stampa)