Qatar 2022, Amnesty: uno stadio costruito grazie allo sfruttamento del lavoro migrante
(Comunicato Stampa) – In un nuovo rapporto diffuso il 31 marzo, Amnesty International ha denunciato che lo stadio internazionale Khalifa, dove si svolgerà una delle semifinali dei Mondiali di calcio del 2022 in Qatar, viene costruito grazie allo sfruttamento dei lavoratori migranti, sottoposti a sistematici abusi che in alcuni casi corrispondono a lavori forzati.
Il rapporto, intitolato “Il lato oscuro del gioco più bello del mondo: lo sfruttamento del lavoro migrante per costruire un impianto dei Mondiali di calcio del 2022 in Qatar”, condanna la scioccante indifferenza della Federazione internazionale delle associazioni calcistiche (Fifa) nei confronti del trattamento dei migranti, il cui numero – per quanto riguarda solo gli impianti sportivi dei Mondiali del 2022 – è destinato a salire fino a 36.000 nei prossimi due anni.
“Lo sfruttamento del lavoro migrante è una macchia sulla coscienza del calcio mondiale. Per giocatori e tifosi, uno stadio dei Mondiali è un luogo da sogno. Per alcuni dei lavoratori che hanno parlato con noi, è come vivere dentro a un incubo” – ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.
“Nonostante cinque anni di promesse, la Fifa non ha fatto quasi nulla per far sì che i Mondiali di calcio del 2022 non venissero costruiti grazie allo sfruttamento del lavoro migrante” – ha aggiunto Shetty.
Il rapporto di Amnesty International si basa su interviste a 132 migranti impegnati nella ristrutturazione dello stadio Khalifa, che dovrebbe essere il primo pronto per lo svolgimento dei Mondiali del 2022 e che è destinato a ospitare una delle due semifinali. Altri 99 migranti intervistati erano impegnati nella manutenzione degli spazi verdi intorno al complesso sportivo Aspire dove quest’inverno Bayern di Monaco, Everton e Paris Saint-Germain sono venuti ad allenarsi.
Ogni singola persona, giardiniere o manovale, che ha parlato con Amnesty International ha riferito di una o più forme di sfruttamento, tra cui:
– alloggi squallidi e sovraffollati;
– il versamento di ingenti somme di denaro (da 500 a 4300 dollari) ai reclutatori in patria per trovare un lavoro in Qatar;
– l’inganno subito rispetto al tipo di lavoro o al salario previsto (con l’eccezione di sei lavoratori, tutti gli intervistati hanno denunciato salari più bassi di quanto promesso, talvolta della metà);
– la mancanza di salario per diversi mesi, con ripercussioni economiche e psicologiche su lavoratori obbligati a saldare pesanti debiti in patria);
– mancato rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, col rischio di essere arrestati ed espulsi in quanto lavoratori “clandestini”;
– confisca del passaporto ad opera del datore di lavoro e mancato rilascio del permesso di espatrio;
– minacce dopo aver protestato per le condizioni di lavoro.
Amnesty International ha scoperto che lo staff di una delle agenzie di reclutamento ha minacciato rappresaglie nei confronti dei lavoratori migranti, come il blocco dei salario, la denuncia alla polizia e il rifiuto di consentire di lasciare il Qatar. Secondo il diritto internazionale, queste condizioni equivalgono a lavoro forzato.
I lavoratori, nella maggior parte dei casi provenienti da Bangladesh, India e Nepal, hanno inizialmente incontrato Amnesty International tra febbraio e maggio 2015. Quando i ricercatori dell’organizzazione per i diritti umani sono tornati in Qatar, nel febbraio di quest’anno, alcuni lavoratori erano stati trasferiti in alloggi migliori ed erano tornati in possesso dei passaporti, come richiesto da Amnesty International, ma altre forme di sfruttamento non erano cessate.
“Indebitati, costretti a vivere in squallidi campi in mezzo al deserto, sottopagati: il destino dei lavoratori migranti contrasta profondamente con quello delle star del calcio che giocheranno nello stadio Khalifa. Tutto ciò che i lavoratori migranti vogliono si chiama diritti umani: essere pagati in tempo, lasciare il paese se ne hanno bisogno, essere trattati con dignità e rispetto” – ha sottolineato Shetty.
Il sistema dello sponsor in vigore in Qatar (detto kafala), in base al quale il lavoratore migrante non può cambiare lavoro o lasciare il paese senza il permesso del datore di lavoro, è al centro dello sfruttamento del lavoro migrante. La tanto pubblicizzata riforma di questo sistema, annunciata alla fine del 2015, modificherà ben poco la dinamica dei rapporti tra lavoratori migranti e loro datori di lavoro.
Alcuni lavoratori migranti del Nepal hanno raccontato ad Amnesty International che è stato loro perfino impedito di tornare in patria dopo il devastante terremoto dell’aprile 2015 che provocò migliaia di morti e milioni di sfollati.
Nabeel (il nome è stato cambiato per ragioni di sicurezza), un lavoratore migrante dell’India impegnato nella ristrutturazione dello stadio Khalifa, ha raccontato di essere stato minacciato quando ha protestato per non aver ricevuto da parecchi mesi il salario:
“Il datore di lavoro mi ha urlato insulti e ha minacciato che se avessi protestato di nuovo non avrei mai più potuto lasciare il paese. Da allora sto molto attento a non protestare per il salario o altre questioni. Ovviamente, se potessi cambierei lavoro o andrei via dal Qatar”.
Questa è invece la testimonianza di Deepak (il nome è stato cambiato per ragioni di sicurezza), proveniente dal Nepal:
“La mia vita qui è una prigione. Il lavoro è duro, lavoriamo per molte ore sotto il sole cocente. La prima volta che mi sono lamentato, poco dopo essere arrivato in Qatar, il direttore dei lavori mi ha detto che potevo anche protestare ma poi ci sarebbero state conseguenze. Se vuoi rimanere in Qatar, devi stare zitto e lavorare”.
Nel 2014 il comitato organizzatore dei Mondiali del 2022, che è anche responsabile della costruzione degli stadi, aveva pubblicato le “Linee guida per il benessere dei lavoratori”. Queste direttive chiedono alle imprese che seguono i progetti relativi agli impianti e alle strutture dei campionati di calcio di applicare ai lavoratori standard persino più elevati rispetto a quelli previsti dalle leggi del Qatar.
“Il comitato organizzatore si è mostrato sensibile verso i diritti dei lavoratori e i suoi standard vanno in quella direzione. Ma applicarli è molto complicato. In un contesto in cui il governo del Qatar si mostra apatico e la Fifa indifferente, sarà quasi impossibile organizzare i Mondiali del 2022 senza lo sfruttamento del lavoro migrante” – ha commentato Shetty.
Amnesty International ha chiesto ai principali sponsor dei Mondiali del 2022, tra cui Adidas, Coca-Cola e McDonald’s di fare pressioni sulla Fifa affinché si occupi dello sfruttamento del lavoro migrante nella ricostruzione dello stadio Khalifa e mostri cosa ha intenzione di fare per impedire tale sfruttamento negli altri progetti relativi ai campionati di calcio.
La Fifa dovrebbe spingere il Qatar ad approntare un piano complessivo di riforme prima che, dalla metà del 2017, la fase di costruzione degli impianti sportivi entri davvero nel vivo.
I passi essenziali dovrebbero essere: annullare il potere del datore di lavoro di impedire ai lavoratori di cambiare impiego o lasciare il paese, indagare in modo adeguato sulle condizioni dei lavoratori e rafforzare le sanzioni nei confronti delle imprese responsabili dello sfruttamento.
La Fifa, a sua volta, dovrebbe svolgere ispezioni regolari e indipendenti sulle condizioni di lavoro in Qatar e renderne pubblici i risultati.
“L’assegnazione dei Mondiali 2022 ha contribuito a promuovere l’immagine del Qatar come una destinazione di élite per alcune delle principali squadre di calcio. Ma il mondo del calcio non può chiudere gli occhi di fronte allo sfruttamento dei lavoro migrante nelle strutture e negli stadi dove si gioca a pallone. Se la nuova dirigenza della Fifa intende seriamente girare pagina, non potrà permettere che il suo principale evento globale si svolga in stadi costruiti con lo sfruttamento del lavoro migrante” – ha aggiunto Shetty.
Lo stadio Khalifa fa parte del complesso sportivo Aspire, al cui interno si trovano i campi di allenamento Aspire Academy e la struttura sanitaria Aspetar, gli uni e l’altra utilizzati da alcune delle più importanti squadre di calcio al mondo.
“Alcuni dei più grandi campioni si saranno già allenati su terreni realizzati e mantenuti grazie allo sfruttamento del lavoro migrante. Presto, potrebbero giocare in stadi costruiti allo stesso modo. Ora è il momento che i leader del mondo calcistico, se non vorranno sentirsi complici di tutto questo, prendano la parola: che si tratti di squadre come il Bayern di Monaco e il PSG o dei grandi sponsor come Adidas e Coca-Cola” – ha concluso Shetty.