Quasi la metà degli adulti con sindrome di Down non lavora e sta a casa

Lo rivela una ricerca Censis-Aipd. E le famiglie chiedono un incremento dei percorsi di autonomia

foto Agenzia DIRE (www.dire.it)

Fino ai 6 anni l’80% dei bambini con sindrome di Down frequenta il nido, la scuola per l’infanzia o la primaria. Tra i 7 e i 14 anni la percentuale sale al 99,1% per poi scendere sotto al 50% (48,8%) tra i 15 e i 24 anni. E chi non frequenta la scuola cosa fa? Il 16,4% sta a casa, il 10,9% frequenta un centro diurno, il 5,7% un corso di formazione professionale e l’11,1% lavora. Ma è allo scoccare dei 25 anni, quando scuola e formazione vengono meno, che la linea di demarcazione tra la condizione di giovani e quella di adulti affetti da sindrome di Down si fa più marcata mettendo ben in evidenza come per questi ultimi manchino servizi, supporti e in generale risposte.

Tra i 25 e i 44 anni, infatti, solo il 39,3% delle persone Down ha un lavoro ed è ben il 27,6% la quota di chi resta a casa. Dopo i 44 anni la situazione si aggrava perché appena il 9,1% delle persone lavora, il 41,3% frequenta un centro diurno e ben il 44,8% ‘non fa nulla’ e sta a casa. A metterlo in evidenza è la ricerca ‘Non uno di meno. La presa in carico delle persone con sindrome di Down per il perseguimento del miglior stato di salute e la loro piena integrazione sociale’, condotta dal Censis insieme all’ Associazione italiana persone Down (Aipd) e presentata, nei suoi aspetti principali, questa mattina in Campidoglio in occasione del convegno ‘Percorsi di autonomia a Roma’, promosso dall’Assessorato alle Politiche Sociali e alla Salute di Roma Capitale, in collaborazione con Aipd – sezione di Roma.

La ricerca è stata condotta da marzo a maggio 2022 attraverso la compilazione di quasi 1.200 questionari raccolti su tutto il territorio nazionale, tramite 38 sedi Aipd coinvolte, presso i caregiver delle persone con sindrome di Down.

Tra i dati principali messi in evidenza è che, indipendentemente dall’età, la tendenza a ‘stare a casa’ è prevalente al Sud, dove riguarda ben il 33% del campione intervistato a fronte dell’8,8% delle regioni del Nord Est. E più le persone stanno a casa, più aumenta la percezione del livello di disabilità da parte dei loro caregiver. “Oltre i 45 anni, la disabilità viene percepita come grave dal 20,9% degli interessati e come molto grave dal 18,6%, con una netta impennata rispetto alla fascia d’età 25-44, quando la disabilità è percepita grave dall’8,2 % e molto grave appena dall’1%”, spiega Anna Contardi, coordinatrice nazionale di Aipd che ha seguito l’indagine.

Riguardo al lavoro, il 13,3% del campione della ricerca ha un contratto da dipendente o collaboratore: il 35,2% di questi percepisce un compenso minimo, il 35,1% un compenso normale.

ACCESSO AI SERVIZI E VITA SOCIALE

Per quanto riguarda l’accesso ai servizi la ricerca ha chiesto ai caregiver se nella propria Asl di appartenenza fosse presente un servizio pubblico o convenzionato dedicato alle persone con disabilità intellettiva. Poco meno della metà ha segnalato la presenza di questa tipologia di servizio e tra questi tutti lo utilizzano. È alta la percentuale di chi non è informato (28,8%) mentre il 23,7% dichiara che questa tipologia di servizio non è presente. Il dato varia anche sulla base del livello di istruzione dei rispondenti: solo il 34,6% di chi ha il titolo di studio più basso (tendenzialmente si tratta anche dei caregiver più anziani) afferma che il servizio è presente, contro il 55,5% dei laureati. Anche la quota di chi afferma di non essere informato è più elevata tra chi ha un livello di istruzione basso (37,0% contro il 21,0%): la mancanza d’informazione condiziona evidentemente lo stesso utilizzo dei servizi.

L’indagine ha voluto poi verificare se gli intervistati potesserono contare su una presa in carico da parte del servizio pubblico del loro territorio fondata sulla predisposizione di un Piano di presa in carico. Solo il 26% del campione afferma che il piano è stato realizzato, il 24% dice che è stato predisposto ma è solo formale e/o ha una applicazione parziale, mentre nella metà dei casi il piano non è stato predisposto. Ancora una volta emergono differenze significative a livello territoriale: al Sud il 73,2% dei caregiver afferma che il piano per la presa in carico della persona con sindrome di Down di cui si occupa non è mai stato realizzato.

Dal punto di vista della vita sociale quella delle persone con sindrome di Down si esprime per lo più in attività strutturate mentre risulta molto difficoltosa nelle attività informali: oltre il 50% non riceve mai amici e non va a casa di amici, oltre il 60% non esce mai con amici. Ma quasi il 90% partecipa ad attività sportive o simili. Il 24% ha una vita relazionale affettiva e il 2.5% ha una relazione sessuale, percentuale quest’ultima che sale a 4,3% tra i 25 e i 44 anni.

FAMIGLIE CHIEDONO PIU’ INFORMAZIONE E PERCORSI AUTONOMIA

In generale la ricerca mette in evidenza come le difficoltà principali incontrate dai caregiver riguardino l’integrazione nella scuola e nella società (51,3%) e la fatica a orientarsi tra i servizi sociali e sanitari (48,1%).

Dal punto di vista dell’assistenza i problemi sono il reperimento di informazioni per capire a chi rivolgersi per ottenere i servizi (44,1%); la perdita di riferimenti nel momento in cui si esce dal circuito scolastico (38,1%) e la continuità della presa in carico nel momento del passaggio alla maggiore età (26,1%).

Alla domanda su quali siano ‘le cose che più hanno aiutato i genitori ad affrontare positivamente la situazione nei primi tempi’, la scelta dei caregiver ricade per lo più (circa il 40%) sul supporto relazionale di genitori, parenti e amici.

In questo contesto ciò che le famiglie italiane chiedono di potenziare in via prioritaria sono i progetti di educazione all’autonomia e i percorsi di preparazione alla vita indipendente (47,9%); l’offerta di servizi per il tempo libero (42,3%); le politiche di inclusione lavorativa (35,3%) e la presa in carico complessiva della persona (33,8%).

L’IMPEGNO DEL CAMPIDOGLIO

“Le parole d’ordine che vengono fuori dai dati illustrati sono orientamento e accompagnamento al lavoro- commenta l’assessora capitolina Barbara Funari– ossia modalità più rapide di informazione per l’accesso ai servizi e ricerca di luoghi che possano accogliere le persone con sindrome di Down e fare formazione. C’è tanta voglia di lavorare in questi ragazzi e oggi abbiamo riunito Comune, terzo settore e aziende per avviare nuovi percorsi di autonomia, dopo avere ascoltato testimonianze importanti di chi ha trovato un lavoro, storie di successo che auspichiamo si possano moltiplicare”.

L’incontro di questa mattina è stato anche occasione per presentare l’esperienza della Convenzione con Roma Capitale sui percorsi d’autonomia.

Nel 2022 sono stati 67 i lavoratori down assunti a Roma e 6 sono le persone attualmente in tirocinio. “Prima della pandemia gli assunti erano 80- precisa Vincenzo Fanelli, responsabile del servizio inserimento lavorativo dell’Aipd Roma- ma alcuni purtroppo hanno perso il lavoro. Di certo il numero di chi lavora, in generale, è inferiore rispetto a chi è in grado di farlo e potrebbe ricevere un miglioramento della qualità della propria vita”.

Dal 2018 al 2022 sono stati 43 i percorsi di inserimento lavorativo attivati nella capitale, 37 le persone coinvolte, 20 i tirocini attivati e 23 i contratti di lavoro firmati. “Il servizio ha l’obiettivo di sensibilizzare le aziende all’inserimento di persone con sindrome di Down- spiega Fanelli- per fare questo andiamo all’interno dei posti di lavoro e facciamo un percorso formativo con i ragazzi. L’inserimento avviene tramite il tutoraggio di un educatore che lavora soprattutto sulla relazione, l’aspetto più complicato. Dopo un periodo di osservazione poi i ragazzi vengono inseriti e lasciati da soli perché l’obiettivo a lungo termine è che siano autonomi”.

Esempio di questo percorso formativo, nello specifico nell’ambito della ristorazione, è il gruppo di ragazzi Aipd che servivano il caffè a latere del convegno. “Sono ragazzi che hanno seguito un percorso formativo di 3 mesi come camerieri di sala- spiega ancora Fanelli- si tratta di un percorso che li porterà a un successivo inserimento lavorativo. Con gli anni, infatti, ci stiamo rendendo conto di come preparare i ragazzi ad accedere al mondo del lavoro gli dia possibilità concrete di riuscita nel momento in cui si attivano tirocini finalizzati all’inserimento. La cosa importante- evidenzia- è inserire la persona al giusto al posto con mansioni vere, concrete e reali perché ci teniamo che i ragazzi siano degli adulti lavoratori”.

“La Convenzione con Roma Capitale è una vera e propria collaborazione finalizzata all’obiettivo di fornire occasioni di autonomia alle persone con sindrome di Down– sottolinea Daniele Caldarelli, presidente Aipd Roma– per il futuro ci aspettiamo che questa Convenzione continui e possa essere migliorata anche nei termini della sua progettazione. Non c’è niente di peggio che iniziare un percorso che conduce all’autonomia e poi interromperlo. Confidiamo che questo non accadrà e stiamo lavorando con l’assessorato in questa direzione”, conclude Caldarelli. (Agenzia DIRE)