Quattro milioni di italiani con diagnosi di cancro, per loro importante il lavoro agile
Il lavoro in modalità agile è una realtà emersa fortemente in tempi di pandemia e destinata a rappresentare un’importante risorsa anche in epoca post-Covid, soprattutto per alcune categorie di lavoratori fragili, come i pazienti con tumore.
Sono 377.000 le nuove diagnosi di tumore in Italia nel 2020 e quasi 4 milioni gli italiani che convivono con una diagnosi di cancro, decine di migliaia in trattamento: i tassi di mortalità si riducono e la sopravvivenza si allunga, ma spesso per i pazienti e per i loro caregiver è complicato conciliare la vita professionale e lavorativa con la malattia, scandita da accessi continui in ospedale per esami, visite, terapie mediche e riabilitative. I bisogni e le richieste dei pazienti oncologici e oncoematologici in tema di lavoro agile sono stati raccolti nel corso di una recente consultazione nazionale online promossa dal Gruppo di 39 Associazioni pazienti ‘La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere‘, che ha avvertito la necessità di intervenire sul tema attualissimo del lavoro agile per garantire maggiori tutele ai lavoratori che convivono con un tumore.
Oggi queste istanze vengono portate dal Gruppo al vaglio della politica. ‘L’attenzione ai lavoratori più fragili ammalati di cancro e soggetti a lunghi periodi di cure chirurgiche e mediche- dichiara Annamaria Mancuso, presidente di Salute Donna Onlus e coordinatrice del Gruppo ‘La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere’- oltre che riabilitative è una priorità assoluta del nostro Gruppo. La tutela sul posto di lavoro e la possibilità di conservarlo secondo modalità che permettano di coniugare le esigenze produttive e le esigenze delle cure è un tema che ci sta molto a cuore e che in ottica post-Covid non può essere ignorato. La consultazione online promossa dal Gruppo ha confermato che i lavoratori più fragili considerano il lavoro agile un’importante opportunità e ha evidenziato i possibili interventi che potrebbero favorire un nuovo modo di lavorare, adeguato e formato‘.
Mancuso aggiunge che ‘i lavoratori che convivono con un tumore segnalano come il lavoro agile presenti dei vantaggi dal punto di vista produttivo, clinico, psicologico e della vita privata: per una persona che si trova ad affrontare un tumore è fondamentale continuare a sentirsi socialmente utile e poter mantenere per quanto possibile le proprie attività e il proprio ruolo’. Mancuso informa poi che ‘adesso ci prepariamo all’incontro e al confronto con le Istituzioni per richiedere un’integrazione della disciplina che regola il lavoro agile. Auspichiamo di intercettare sensibilità da parte dei politici su questa delicata problematica affinché possa instaurarsi un percorso di condivisione e intesa tra Governo, Parlamento e Associazioni pazienti’.
È essenziale, quindi, favorire nuove modalità di lavoro che accompagnino i lavoratori più fragili anche alla luce dei cambiamenti in atto, che rendono più che mai necessaria la tutela del diritto al lavoro di queste persone. ‘Lavorare in modo agile e bene si può- afferma Tiziana Nisini, sottosegretario al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali-. Occorre però disciplinare in modo organico la materia al fine di evitare situazioni di conflitto tra lavoratori e datori di lavoro. Il tema del lavoro dei pazienti oncologici e oncoematologici è estremamente importante proprio come esempio virtuoso di lavoro agile. Abbiamo il dovere di ascoltare le istanze delle Associazioni dei pazienti e tradurle in una normativa che metta in primo piano i loro bisogni’.
Le misure di distanziamento sociale introdotte in risposta alla pandemia Covid-19 hanno costretto molte persone a lavorare da casa. Secondo l’ultima indagine Eurostat nel 2020 il 12,2% degli italiani in età produttiva ha lavorato da casa, quota invece rimasta costante intorno al 5% negli ultimi dieci anni. Il lavoro agile, secondo quanto recitato dalla legge 20 maggio 2017 n.81, era stato già introdotto da alcune aziende e oggi questa modalità di lavoro è destinata a crescere. Infatti, sono in atto in Parlamento, attraverso alcuni disegni di legge già depositati alle Camere, numerose iniziative di revisione e completamento della disciplina normativa vigente.
‘Tutti i disegni di legge– spiega Stefano Bellomo, professore ordinario di Diritto del lavoro alla Sapienza Università di Roma- prefigurano interventi di revisione più o meno approfondita della disciplina sul lavoro agile nella prospettiva di una sua stabilizzazione dopo il periodo dell’emergenza pandemica. E tutti sono caratterizzati, seppur con differenti contenuti, dal proposito di favorire questa forma di lavoro particolarmente congeniale a conciliare le esigenze aziendali e le istanze e i bisogni dei lavoratori più fragili. Quel che, tuttavia, si riscontra nella maggior parte dei disegni di legge è ancora una percezione non del tutto chiara del potenziale raccordo tra questo istituto legislativo e la situazione molto particolare e meritevole di attenzione specifica da parte del legislatore, tanto dei lavoratori malati di tumore quanto dei cosiddetti caregiver, che del malato si prendono cura’.
Bellomo aggiunge inoltre che ‘per questo, grazie alle segnalazioni, indicazioni e sollecitazioni giunte dai pazienti e dalle loro Associazioni, è stato elaborato uno schema di intervento legislativo che dedichi una particolare considerazione a questi lavoratori. I punti salienti di questo articolo aggiuntivo sono i seguenti: il diritto al lavoro agile per il lavoratore malato di tumore e il suo caregiver per un periodo di circa due anni a partire dalla diagnosi; la necessità di un accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore con tumore; il diritto al trasferimento del lavoratore fragile nella sede più vicina al luogo di cura o di domicilio estensibile anche al caregiver; l’obbligo da parte del datore di lavoro di formare e rendere aggiornati i lavoratori fragili che svolgono attività remotizzata, garantendo loro la salvaguardia del patrimonio professionale in piena parità e opportunità economica e di carriera rispetto a chi lavora in sede’.
Recentemente sono stati presentati alla Camera e in Senato 5 Disegni di legge trasversali ai gruppi parlamentari, accomunati da uno stesso obiettivo: rafforzare i diritti che tutelano il posto di lavoro, con particolare riferimento al lavoro agile e al diritto alla disconnessione. ‘Il lavoro agile- sostiene Sabrina Ricciardi, Senatrice del MoVimento 5 Stelle e prima firmataria del progetto di legge presentato in Senato per introdurre il diritto alla disconnessione per i lavoratori italiani- è uno dei temi centrali del diritto del lavoro del post pandemia. Intendo impegnarmi affinché i temi del lavoro agile e del diritto alla disconnessione siano al centro di un’ampia discussione che tenga anche conto delle esigenze di alcune specifiche categorie di lavoratori come i pazienti oncologici e oncoematologici’.
Claudia Borreani, psicologa responsabile Ssd di Psicologia clinica Fondazione Irccs Istituto Nazionale Tumori di Milano, sostiene che ‘mantenere il posto di lavoro per i lavoratori più fragili come i pazienti affetti da tumore e agevolare il più possibile le modalità lavorative, permettendo alla persona di sentirsi parte di qualcosa, attiva e produttiva nonostante la malattia, è importante ma la questione è complessa. La dimensione del lavoro è necessaria per motivi economici e di identità e ruolo personale. La malattia non può e non deve spazzare via una vita di lavoro, soprattutto se ci sono le condizioni per proseguire l’attività che va garantita e tutelata. Naturalmente molto dipende dalle singole situazioni, dal tipo di lavoro, dalle aspettative, dall’attaccamento al lavoro e dai bisogni che sono diversi per ogni persona. Diciamo, dunque, che se il valore intrinseco del lavoro deve essere garantito, la qualità e la modalità del lavoro non è solo risolvibile con il lavoro agile. Ci sono persone per le quali il lavoro è centrale, una risorsa della loro vita, un valore importante; altre che il lavoro lo subiscono per varie ragioni. Le prime traggono grandi soddisfazioni dal lavoro, per cui la malattia affrontata mantenendo viva la dimensione lavorativa ne trae gran beneficio; per le seconde la malattia diventa un’opportunità per smettere di lavorare. Tutto questo ha a che fare con il tipo di lavoro, con le motivazioni, l’età e le fasi della vita. In ogni caso una diagnosi di tumore mette la persona di fronte a una scelta importante nella quale sono in ballo i valori che ognuno attribuisce alla vita. L’ideale sarebbe non essere costretti a scegliere. Certo è che per alcuni il lavoro è una risorsa formidabile, una risorsa importantissima, per altri il lavoro diventa un fardello eccessivo che mal si concilia con la malattia. La normativa dovrebbe prevedere una rimodulazione e rinegoziazione, tutelando il lavoro ma adattandolo anche alle effettive possibilità di una persona che vive una condizione di grave disagio fisico e psicologico come un tumore’.
Filippo de Braud, oncologo medico, Direttore dipartimento e divisione di Oncologia Medica, Fondazione Irccs Istituto Nazionale Tumori di Milano, aggiunge che ‘la principale problematica che un paziente deve affrontare dopo una diagnosi di tumore, rispetto alla sua attività lavorativa, è la preoccupazione di perdere il posto di lavoro. I pazienti si sentono improvvisamente precari, pensano che l’essersi ammalati li metta in condizione di rischiare di perdere il lavoro o quanto meno di essere penalizzati dal punto di vista delle mansioni, della carriera o del guadagno economico. La paura è che la malattia si trasformi in una motivazione per il datore di lavoro di licenziare o di declassare i meriti acquisiti. Questo aspetto colpisce tutti i pazienti in modo variabile, è molto sentito ed è anche molto grave dal punto di vista sociale perché significa che il posto di lavoro non è sufficientemente tutelato, in particolare in caso di malattie gravi come un tumore. È chiaro che una persona malata di cancro e che si sta curando dovrebbe avere le stesse opportunità lavorative delle persone non malate. Introdurre una diversità è sempre un modo per ghettizzare le persone più vulnerabili. Se si definisce il lavoro agile come un’opportunità per mettere in condizione il lavoratore/paziente di poter conciliare le esigenze lavorative e le esigenze di cura e se non si toglieranno benefici economici e di soddisfazione, allora il lavoro agile è davvero una buona opportunità. Chi si ammala di tumore ha un’altra grande preoccupazione: quella di essere discriminato. Quindi, le Istituzioni, i politici, gli stessi medici e le persone che sono vicine al malato devono avere la sensibilità di evitare questo problema. Certo se si metterà in campo una normativa puntuale, chiara con giusti presupposti in materia di lavoro agile per i pazienti con tumore, potremo senz’altro affermare che il Covid-19 ha prodotto una conseguenza molto positiva. Sicuramente, poter lavorare in modalità ‘agile’ facilita la vita e la quotidianità dei pazienti oncologici e oncoematologici perché fa loro risparmiare fatica per gli spostamenti, permette di conciliare le cure con il lavoro e la vita privata risparmiando tempo, li tiene lontani dalla possibilità di contrarre infezioni e di risparmiare energie, specie se sono in terapia. Ma, ripeto, tutto questo è molto positivo se ben chiarito, normato e non discriminante’.
Per Angelo Ricci, presidente della Federazione italiana genitori bambini e adolescenti oncologici e oncoematologici pediatrici (Fiagop), ‘quando arriva una diagnosi di tumore ad un bambino o ad un adolescente, tutta la famiglia viene investita da un uragano che sconvolge la quotidianità. Se poi il paziente è costretto a curarsi in un centro lontano dal luogo di residenza la situazione peggiora notevolmente. Il diritto di lavorare in modalità agile per i genitori, che sono di fatto i caregivers di questi pazienti, è un diritto fondamentale, irrinunciabile. È dimostrato che il lavoro agile consente di coniugare le esigenze lavorative del genitore/caregiver con le esigenze di cura del giovane paziente ma solo se sussiste una normativa rigorosa in materia, non discriminante per chi lavora in remoto e che garantisca uguali opportunità lavorative, di formazione e remunerative al pari del lavoratore in presenza’, conclude. (Agenzia Dire)