Religioni nel mondo: nel 2050 i cristiani aumenteranno del 35%, i musulmani del 73%
ROMA – Utilizzando la stessa metodologia adottata per l’Italia, il Dossier immigrazione dell’Idos (che sarà presentato il 2 marzo a Roma) presenta in anteprima i risultati della stima riferita alla popolazione dell’Unione Europea (508 milioni) e alla popolazione mondiale (7 miliardi e 266 milioni) nel 2014. Eccoli in estrema sintesi:
Ue a 28: cristiani 76,8% (cattolici 49,9%, evangelici e altri cristiani 19,7%, ortodossi 7,2%), musulmani 2,9%, ebrei 0,2%, religioni orientali 0,2%, altri gruppi e non statisticati 5,4%, atei e agnostici 14,5%;
Nel mondo. Cristiani 29,6% (cattolici 17,1%, evangelici e altri cristiani 9,9%, ortodossi 2,6%), musulmani 23,1%, ebrei 0,2%, religioni orientali 26,2% (induisti 15,2%, buddhisti 5,1%, altre religioni orientali 5,9%), religioni tradizionali 2,6%, altri gruppi e non statisticati 3,5%, atei e agnostici 14,8%.
“I dati riportati –afferma il Dossier -, a metà secolo conosceranno sensibili modifiche secondo lo studio ‘The Future of World Religions: Population Growth Projections (Prc), 2010-2050’, presentato nel mese di aprile 2015 dal Pew Research Center (Prc) degli USA. Queste proiezioni si basano su diversi fattori: struttura della popolazione, speranza di vita, tassi di fertilità e mortalità, flussi migratori e tendenza al mutamento della propria identità religiosa (per abbracciarne un’altra o non seguirne più alcuna)”.
Le proiezione nel 2050. Secondo il Prc nel 2050, presupposto che la popolazione mondiale passi a 9,3 miliardi (+35%, circa 2 miliardi in più), anche i cristiani aumenteranno del 35% (da 2,1 a 2,9 miliardi) e incideranno per il 31% sulla popolazione mondiale. Un aumento simile (+34%) è stato ipotizzato per gli induisti (da 1 miliardo a 1,4 miliardi). Invece i musulmani, grazie a un più consistente tasso d’aumento (+73%), passeranno da 1,6 a 2,7 miliardi e incideranno per il 29% sulla popolazione mondiale, avvicinandosi al sorpasso dei cristiani (previsto per il 2070). Aumenteranno anche gli altri gruppi religiosi, ad esempio gli ebrei (da 14 milioni a 16 milioni), a eccezione dei buddhisti, per i quali è prevista una situazione di stabilità. Diminuiranno invece gli atei e gli agnostici (dal 16% al 13%).
Queste previsioni escludono per l’Unione Europea la paventata islamizzazione dall’interno, perché nel Vecchio continente la popolazione musulmana non inciderà oltre il 10%. Viene dato, invece, per scontato che l’Europa influirà di meno sulla presenza cristiana, solo per il 16%, con una perdita di 10 punti percentuali, e la sua incidenza sarà superata da quella dell’Africa, che passerà dal 19% al 29%, dell’America Latina, 22% con la perdita di due punti percentuali, e anche dall’Asia, in aumento dal 17% al 20%.
“Premesso che, da qui al 2050, i fattori sui quali è basata la stima del Prc sono soggetti a modifiche, non si possono non sottolineare alcuni aspetti meritevoli di attenzione – afferma il Dossier Idos -: il superamento dell’occidentalizzazione del cristianesimo nelle sue confessioni cattolica ed evangelica e la forte crescita delle sue espressioni pentecostali e carismatiche; il maggior tasso di crescita dell’islam e l’interrogativo se questo avverrà secondo una forma dialogante in antitesi a quella proposta dalle minoranze estremiste; la riduzione a livello mondiale del numero degli atei e degli agnostici, che però potranno diventare il gruppo prevalente in paesi tradizionalmente cristiani come la Francia e l’Olanda; la necessità per le religioni maggioritarie, e anche per le minoranze, di ispirarsi a criteri di apertura e collaborazione per riuscire a testimoniare nella società l’importanza della dimensione religiosa (da intendere più come acquisizione interiore che come ritualità); l’obbligo per i decisori pubblici di accompagnare in maniera adeguata questa evoluzione, superando i ritardi legislativi e amministrativi, scarsamente rispettosi della libertà religiosa, e incentivando il rispetto del pluralismo religioso anche tra le rispettive popolazioni”.
Riflessioni sulla società multireligiosa in Italia. L’immigrazione costituisce il fattore di massima pluralizzazione della scena religiosa italiana. È questa la tesi di fondo che emerge sia dall’analisi dei dati riportati nel Dossier che da una serie di ricerche di campo che hanno trovato sintesi in alcuni recenti volumi. Le statistiche attestano, infatti, che la consistenza di alcune comunità di fede è determinata in massima parte da immigrati: accade così per l’islam, al cui interno la presenza di nazionali non supera le centomila unità su un totale di oltre 1,6 milioni di membri; percentuale ancora più bassa tra gli ortodossi, la cui maggioranza resta massicciamente romena; non rilevante la presenza italiana tra i sikh. In controtendenza, ovviamente oltre ai cattolici, gli evangelici, i mormoni e i Testimoni di Geova, i buddhisti e, soltanto in parte, gli induisti. In queste comunità assistiamo quindi a un fenomeno di grande interesse: l’incontro – non sempre semplice – tra italiani e immigrati che appartengono alla stessa fede. Le strategie di gestione di questa complessità interculturale sono differenziate e danno vita a una varietà di modelli.
I modelli di aggregazione comunitaria. Il primo è quello che viene definito “etnico”: le comunità si danno strutture organizzatein base alla provenienza, alla lingua e alle tradizioni di uno specifico gruppo. “Indagando la galassia evangelica, per esempio, il modello ‘etnico’ risulta prevalente. Delresto, la possibilità di pregare nella propria lingua e di riprodurre almeno nella pratica religiosamodelli di appartenenza tipici della società di provenienza, consente di ‘replicare’una rassicurante isola spirituale in un contesto migratorio non sempre accogliente”.
Un secondo modello è quello “internazionale” che, privilegiando l’uso di lingue coloniali quali l’inglese o il francese, punta all’aggregazione di credenti genericamente “non italiani”. In sostanza è una variabile semplificata del modello precedente che, se presenta il vantaggio di una comunicazione più diretta, sminuisce il potenziale dell’aggregazione di gruppi etnici più piccoli e coesi.
Il terzo modello è quello che viene definito “interculturale”, teso cioè a favorire l’incontro tra italiani e immigrati proprio e anche all’interno delle comunità di fede. Si tratta del modello adottato dalle chiese storiche del protestantesimo (valdesi, metodisti, battisti) ma anche da quelle avventiste. L’idea guida è che le comunità religiose possano svolgere un ruolo importante nello sviluppo di percorsi di integrazione, proponendosi come veri e propri “laboratori” di buone pratiche di incontro e scambio.
In sintesi, secondo il Dossier Idos, “mentre il pluralismo religioso degli italiani si identifica con una varietà di pratiche e di modelli di appartenenza all’interno della stessa tradizione (quella cattolica), gli immigrati introducono una dinamica nuova che rafforza il pluralismo all’esterno della confessione prevalente”.
La società più avanti della politica. Ma al dinamismo dei nuovi attori religiosi, che si esprimono soprattutto sulla scenamigratoria, secondo il Dossier non corrisponde un analogo processo da parte della società e delle istituzioniitaliane.“Il 2105, infatti, è stato caratterizzato da un’escalation delle polemiche sulle moschee epiù in generale sugli edifici di culto delle comunità religiose composte da immigrati. Comeè noto, la legislazione rimane largamente condizionata dalle norme sui ‘culti ammessi’ approvate in epoca fascista. Ne consegue che, prescindendo dalle 11 confessioni che dispongono di un’intesa ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione (valdesi e metodisti, avventisti, pentecostali delle Assemblee di Dio e della Chiesa apostolica, ebrei, battisti, luterani, ortodossi della Sacra Arcidiocesi ovvero “greci”, mormoni, induisti e buddhisti), per tutte le altre i rapporti con lo Stato si strutturano con norme obsolete e carenti che determinano un’ulteriore gerarchizzazione dei diritti”.
Vi sono infatti confessioni – circa 50 – che dispongono di un “riconoscimento giuridico” da parte dello Stato e altre che invece operano, di fatto, come semplici associazioni. Il caso emblematico è quello dell’islam, dal momento che a oggi l’unico soggetto riconosciuto come “ente religioso” è il Centro islamico culturale d’Italia che gestisce la cosiddetta “grande moschea” di Roma. “Risulta quindi evidente – si afferma – che la strategia dei ‘tavoli’ istituzionali, che hanno coinvolto oltre ai vari ministri dell’Interno anche i rappresentanti dei vari enti islamici presenti in Italia (la prima “consulta” istituita dal ministro Pisanu è del 2005), non ha sortito effetti di rilievo”.
Continua il Dossier: “Tra le conseguenze di questa inconcludenza preoccupa soprattutto il fatto che, in assenza di una chiara strategia istituzionale, il discorso pubblico nei confronti dei musulmani abbia assunto toni sempre più polemici e demagogici, che in qualche caso hanno alimentato pericolosi sentimenti islamofobici. Si collocano in questo quadro le campagne di alcuni partiti politici (non solo Lega Nord) contro le ‘moschee’ e per estensione contro i luoghi di culto ‘degli immigrati’. L’assenza all’interno dell’Expo di uno spazio dedicato alla preghiera per i musulmani, per esempio, è indice di un ritardo culturale oltre che politico nel cogliere e rappresentare nello spazio pubblico una comunità di grande rilievo come quella islamica”. Non mancano ovviamente esperienze in controtendenza: per esempio la giornata ecumenica del dialogo cristiano islamico che, avviatasi nel 2001 a pochi mesi dall’11 settembre, oggi si propone come un appuntamento sempre più partecipato; o le attività di dialogo interreligioso promosse da autorità cattoliche che, in coerenza con l’azione di papa Francesco, stanno dando vita a una nuova, feconda stagione di dialogo interreligioso. (Agenzia Redattore Sociale)