Storia e identikit dello Stato Islimico: territorialità, appartenenza, economia
ROMA – Quando parliamo di Isis, sappiamo esattamente di cosa stiamo parlando? Quali sono i territori controllati dai terroristi? Come si finanzia il Califfato? Chi sono gli affiliati? Le risposte a queste domande nell’intervento di Stefania Azzolina, analista del Centro Studi Internazionali (Ce.S.I) di Roma.
Lo Stato Islamico rappresenta al momento il soggetto più influente all’interno della galassia jihadista internazionale, dove è riuscito a sostituire al-Qaeda nella leadership del terrorismo di matrice salafita globale. Tale processo è stato frutto di una serie di innovazioni introdotte dallo Stato Islamico, come la tendenza alla territorializzazione e alla statalizzazione, la diretta amministrazione dei territori conquistati, l’erogazione di un efficiente sistema assistenzialistico ed educativo, nonché lo sfruttamento sistematico di tutti le risorse economiche presenti all’interno delle aree poste sotto il suo controllo. Inoltre, uno dei maggiori elementi di forza è stato l’utilizzo strategico dei mezzi di comunicazione, in particolar modo dei social media, attraverso il quale lo Stato Islamico è riuscito a veicolare l’immagine di un modello vincente, incrementando esponenzialmente il numero di reclute e fiancheggiatori in tutto il mondo.
Estensione territoriale e città controllate
Il 29 giugno 2014 Abu Bakr al-Baghdadi, leader dell’organizzazione Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL), fondata appena un anno prima, dichiarava unilateralmente la restaurazione del Califfato tramite un editto che indicava i territori posti sotto la sua giurisdizione. Dalla periferia di Baghdad in Iraq, seguendo le principali vie di comunicazione sia terrestri che fluviali, il territorio del neonato Stato Islamico (IS) si estendeva verso due direttrici. La prima lungo il fiume Tigri, partendo dalle province settentrionali dell’Iraq passando per Tikrit e altre città e villaggi nelle provincie di Salahaddin, Diyala e Ninewa fino alla città di Mosul e a tutta la zona montuosa del Sinjar. La seconda, seguendo il corso del fiume Eufrate, partiva da Fallujah e proseguiva verso ovest, oltrepassando il confine con la Siria. Infatti, il controllo di al-Qaim e della regione di Deir ez Zour ha, sin dal 2014, consentito la continuità tra i territori iracheni e siriani sotto il controllo dello Stato Islamico. Sul fronte siriano, il controllo delle milizie jihadiste si estendeva fino alla periferia sud orientale di Aleppo, passando attraverso l’autoproclamata capitale al-Raqqa. Dopo più di un anno e mezzo, i confini dello Stato Islamico hanno subito diversi cambiamenti, parallelamente all’evoluzione degli equilibri e delle dinamiche sul campo. Ad una fase di tipo espansivo avvenuta nel corso della prima metà del 2015, ha fatto seguito negli ultimi due mesi, la perdita di alcune posizioni sia in Siria che in Iraq.
Sul fronte siriano, nell’ambito dell’offensiva per la ripresa della città di Aleppo, iniziata lo scorso 15 ottobre, l’Esercito siriano ha riconquistato la base aerea di Kuweiris, situata a sud-est di Aleppo e assediata da oltre 2 anni dalle milizie dello Stato Islamico. Inoltre le milizie jihadiste hanno perso il controllo di diversi villaggi posti lungo la principale arteria del Paese, la M5, che collega tutto il versante del Paese da Aleppo, passando per Homs e Hama fino a Damasco, dove l’IS continua a mantenere il controllo di alcuni sobborghi sud-orientali della capitale.
Anche sul fronte iracheno si sono registrati diversi cambiamenti. Oltre la perdita di Tikrit (liberata dall’Esercito regolare iracheno con l’aiuto delle milizie iraniane e dell’aviazione americana), nelle scorse settimane l’Esercito iracheno supportato dalle Forze di Mobilitazione Nazionale (organizzazione ombrello sovvenzionata dal Governo iracheno nata nell’aprile del 2014, che vede la partecipazione di 40 milizie prevalentemente sciite) ha ripreso il controllo del distretto petrolifero del Baiji mentre le forze curde Peshmerga, del PKK e delle Unità di Protezione Popolare hanno riconquistato la città di Sinjar nel nord del Paese. Ciò nonostante, il controllo dell’intera regione dell’Anbar ha consentito allo Stato Islamico di mantenere la continuità territoriale con tutti i territori orientali siriani posti sotto il loro controllo.Tenendo conto delle dovute approssimazioni, l’estensione dello Stato Islamico oscilla tra i 200.000 ed i 250.000 chilometri quadrati, con una popolazione tra i 7 e i 10 milioni di abitanti.
La struttura dello Stato Islamico
L’ordinamento dello Stato Islamico è basato sulla rigida e letterale applicazione della legge islamica, la Sharia. L’azione di governo si esplica attraverso una precisa rete di istituzioni che consente di controllare in maniera capillare non solo i territori posti sotto la sua giurisdizione ma anche di regolare ogni aspetto della vita sociale e pubblica della popolazione. La struttura dell’organizzazione è fortemente centralizzata e vede al suo vertice il Califfo, che detiene il potere decisionale, seguito da due consiglieri, uno per la Siria l’altro per l’Iraq, che esercitano a loro volta il comando su due shura (consigli) di circa 20 membri competenti per materie civili e militari. L’intero territorio è suddiviso in wilayat (provincie) ognuna controllata da un comandante militare, dalla polizia religiosa (al-Hesbah), che vede anche una specifica sezione femminile (al-Khansa), ed una articolata struttura di consigli locali preposti alla gestione di molteplici aspetti come finanza, tasse, questioni legali, sicurezza e media. Sulla rigida corrispondenza tra l’operato dei governatori e dei consigli locali e la corretta applicazione della sharia vigila il Consiglio della Shura. Tenendo conto dell’estrema mobilità dei suoi confini, è bene sottolineare come tutta la struttura fin qui descritta trovi una sua piena realizzazione solamente nei territori controllati con maggiore solidità e , in particolare, nei principali centri cittadini come Raqqa o Mosul.
I miliziani dello Stato Islamico
La necessità di quantificare la forza militare dell’IS si è, sin dall’inizio, scontrata con una forte difficoltà di reperire informazioni dettagliate. L’arruolamento all’interno delle milizie jihadiste di al-Baghdadi è avvenuto, infatti, attraverso modalità complesse e variegate. Nello specifico, le milizie dello Stato islamico sono formate sia da combattenti provenienti dalle realtà tribali sia da ex soldati degli Eserciti nazionali iracheno e siriano. E’ evidente come queste dinamiche non abbiano permesso di quantificare in maniera precisa i combattenti in forza allo Stato Islamico, determinando la presenza di numeri nettamente contrastanti che variano dalle 20.000 alle 200.000 unità. In relazione a questi dati, si stima che il nucleo duro dei combattenti maggiormente qualificati sia composto da circa 20.000 – 30.000 unità. Se a questo numero aggiungiamo le centinaia di milizie tribali e locali confluite progressivamente nel gruppo di al-Baghdadi, sia su base volontaria sia per una sorta di “coscrizione obbligatoria”, l’esercito dello Stato Islamico potrebbe arrivare a includere 100.000 unità. Queste sono impiegate sia per funzioni prettamente militari sia per funzioni di ordine pubblico all’interno dei territori assoggettati.
All’interno di questi dati sono incluse anche le stime relative ai cosiddetti foreign fighters. Si tratta di giovani combattenti non provenienti né dalla Siria né dall’Iraq, bensì originari di Paesi stranieri, dalle vicine monarchie del Golfo sino all’Africa settentrionale, alla Russia e all’Europa. Tenendo conto delle dovute approssimazioni, i dati relativi a questo fenomeno segnano una forte evoluzione dal 2011 al 2015, con un deciso aumento del flusso dagli iniziali 1.000 agli attuali circa 25.000. Di questi, tra i 3.000 e i 5.000 provengono Europa, Stati Uniti, Canada e Australia. In questo caso si tratta di figli di immigrati di seconda o terza generazione, che decidono di recarsi in Siria e Iraq per combattere il proprio jihad.
Economia
Il controllo dei territori conquistati permette all’IS di godere di numerose risorse finanziare utilizzate per l’amministrazione della cosa pubblica e la sovvenzione delle operazioni militari. Tale aspetto rende lo Stato Islamico indipendente dalle donazioni esterne, che rappresentano solamente il 5% delle sue entrate. Le fonti di maggiore sostentamento sono rappresentate da diverse attività di natura illegale poste in essere nei territori controllati.
Tra queste, al primo posto la vendita sul mercato nero di petrolio estratto dai giacimenti siriani ed iracheni. Questo tipo di attività garantisce alle casse dello Stato Islamico un’entrata giornaliera di circa un milione di dollari, una cifra ancora molto cospicua ma notevolmente inferiore rispetto ai tre milioni stimati fino alla seconda metà del 2014. A determinare tale riduzione ha contribuito non solo l’inizio dei raid aerei della coalizione a guida statunitense, ma anche il crollo del prezzo del greggio a livello mondiale. Inoltre, bisogna tener conto degli sviluppi sul campo di battaglia che, come già accennato, lo scorso ottobre hanno visto lo Stato Islamico perdere l’importantissimo distretto petrolifero di Baiji, le cui raffinerie garantivano la produzione di circa 300 mila barili di combustibile al giorno (stime relative alla produzione pre-conquista da parte di IS), coprendo la metà del fabbisogno energetico nazionale iracheno. Attualmente, sotto il controllo delle milizie di al-Baghdadi rimangono tutto il bacino petrolifero di Deir ez Zour, situato della parte orientale della Siria, nonché alcuni distretti nel nord dell’Iraq, specificatamente nella regione attorno Mosul.
Una volta estratto e raffinato il greggio, i barili vengono venduti a contrabbandieri locali o stranieri, che acquistano il petrolio a circa 30 dollari al barile per rivenderlo a prezzi estremamente concorrenziali sui mercati principalmente di Turchia, Kurdistan e Iran. Per il trasporto, così come durante il regime di Saddam Hussein, vengono utilizzate mezzi estremamente rudimentali quali zattere o piccolissime imbarcazioni e viene sfruttata la porosità dei confini dell’area per entrare inosservati nei territori dei Paesi di interesse.
Oltre la vendita di petrolio, anche i traffici illegali di reperti archeologici ha garantito incassi importanti, sebbene in questo caso sia più difficile riportare delle stime precise. E’ stato calcolato che solo il saccheggio dell’area archeologica di al-Nabuk, nel corso del 2014, ha procurato un guadagno di circa 36 milioni di dollari. Rientrano poi tra le maggiori voci di entrata i riscatti dei rapimenti (circa 65 milioni di dollari nel 2014), nonché gli introiti dei pedaggi su mezzi e persone, le cui singole quote variano da 100 a 400 dollari. Infine fanno parte delle voci delle forme di sostentamento le tasse imposte ai cittadini non mussulmani, le riserve degli istituti bancari posti nei territori sotto il loro controllo (stimate tra i 500 milioni e un miliardo di dollari), nonché lo sfruttamento di tutti gli altri asset economici presenti dei territori occupati.
Sebbene nel corso del 2014 l’IS abbia annunciato la volontà di coniare e diffondere una propria moneta (gli antichi dinar in oro, dirham in argento e fils di rame), tale tentativo si scontra con l’impossibilità di un reale utilizzo come strumento di scambio sul mercato. Questa manovra è quindi da leggere come un ennesimo strumento propagandistico volto a rafforzare il consenso all’interno dei territori controllati.
L’uso strategico della propaganda e il marketing del terrore.
Come accennato precedentemente, lo Stato Islamico ha fatto dei mezzi di comunicazione e della propaganda attraverso i social network uno degli strumenti principali e più efficaci per la sua affermazione all’interno del panorama jihadista internazionale. Infatti, l’utilizzo dei media si è rivelato estremamente funzionale nel diffondere un’immagine vincente del Califfato sia dal punto di vista delle conquiste territoriali e della lotta agli infedeli (kuffar) sia riguardo la capacità di gestione dei territori posti sotto il suo controllo.
Inizialmente Twitter rappresentava la piattaforma maggiormente utilizzata dagli organi di propaganda di IS, ma in seguito alle misure contenitive adottate dai maggiori social media provider, i gruppi jihadisti hanno iniziato a comunicare e a fare proselitismo tramite software e applicazioni come Telegram o come chat room su canali criptati, come quelli delle piattaforme di home entertainment (PlayStation o Xbox). Inoltre non bisogna mai dimenticare che la maggior parte della comunicazione avviene attraverso i canali del cosiddetto deepweb, ossia lo spazio virtuale sommerso accessibile solo tramite specifici strumenti di navigazione. Tra gli altri strumenti di propagazione, bisogna annoverare anche la rivista on-line di Dabiq, attraverso cui gli addetti alla comunicazione dello Stato Islamico veicolano quotidianamente messaggi propagandistici.
Questo marketing del terrore ha fatto si che, in breve tempo, lo Stato Islamico sia riuscito ad attrarre alla propria causa migliaia di proseliti. Uno degli aspetti più preoccupanti riguarda la capacità di insinuarsi tra le diverse fratture sociali delle società europee sfruttando, in particolare, le sacche di disagio giovanile e indirizzandole verso i suoi specifici obiettivi.